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Immagine del redattoreAndrea Viliotti

Willow: il nuovo chip quantistico di Google Quantum AI

La nuova tecnologia quantistica di Google Quantum AI prende forma nel chip Willow, un processore quantistico progettato per superare le attuali barriere della computazione quantistica e aprire la strada verso macchine di larga scala effettivamente utili. Presentato da Hartmut Neven e dal suo team, Willow incarna un deciso passo in avanti, grazie a migliori tempi di coerenza dei qubit, strategie di correzione degli errori integrate e risultati sperimentali capaci di surclassare le più potenti infrastrutture di calcolo classiche oggi disponibili. Questo nuovo processore, sviluppato nelle strutture dedicate di Google Quantum AI, pone le basi per applicazioni reali e commercialmente rilevanti, confermando il potenziale delle tecnologie quantistiche di nuova generazione.

Willow: il nuovo chip quantistico di Google Quantum AI
Willow: il nuovo chip quantistico di Google Quantum AI

Prestazioni di Willow e correzione degli errori quantistici

Il chip Willow emerge in un contesto di ricerca nel quale la computazione quantistica si scontra da decenni con un ostacolo cruciale: la rapida insorgenza di errori nei qubit, le unità elementari dell’elaborazione quantistica. Un qubit è un’entità fisica capace di rappresentare e manipolare informazioni sfruttando principi della fisica quantistica, come la sovrapposizione di stati. Le interazioni indesiderate con l’ambiente esterno ne degradano lo stato, portando a errori che si accumulano a mano a mano che il numero di qubit cresce. Se tali errori non vengono corretti o ridotti in modo efficace, la capacità di un computer quantistico di superare le prestazioni di un sistema classico diminuisce fino a scomparire. Il cuore del problema risiede quindi nell’implementare la quantum error correction, ovvero tecniche di correzione dell’errore quantistico finalizzate a preservare l’informazione elaborata dal dispositivo.Willow dimostra un risultato di rilievo nel panorama della computazione quantistica: raggiunge la condizione definita come “below threshold”, ossia mostra la capacità di ridurre gli errori in modo esponenziale aumentando il numero di qubit.


Questo significa che, passando da un array di nove qubit fisici a uno di venticinque e poi a quarantanove, si è ottenuta la capacità di dimezzare la frequenza di errore a ogni ulteriore incremento dimensionale. Una condizione di questo tipo rappresenta un traguardo inseguito dalla comunità scientifica sin dagli anni ’90, quando venne formalizzata l’idea stessa di correzione quantistica degli errori. È un risultato di natura pratica ma soprattutto concettuale: mostra che, oltre una certa soglia, per ogni qubit aggiuntivo la qualità complessiva del sistema non peggiora ma migliora.Un simile comportamento non nasce dal caso, ma da una serie di ottimizzazioni strutturali e logiche. Willow è un chip superconduttore, prodotto in una delle rare strutture dedicate interamente alla fabbricazione di processori quantistici, in questo caso situata a Santa Barbara.


L’ambiente di produzione controllato ha consentito di incrementare la coerenza quantistica dei qubit, cioè la capacità di mantenere intatta la sovrapposizione degli stati senza che il segnale quantistico si deteriori in pochi istanti. Questo parametro, misurato in microsecondi (µs), è stato portato con Willow intorno a 100 µs, il che rappresenta un salto rispetto ai precedenti risultati di circa un fattore cinque. Avere qubit più stabili significa poterli far interagire più a lungo e con maggiore complessità di calcolo senza perdere informazione utile.Allo stesso tempo, l’architettura del chip non è stata progettata solo per aumentare la qualità del singolo qubit, ma per assicurare che l’intero sistema possa essere configurato, tramite componenti sintonizzabili, in modo da correggere i qubit “difettosi” o meno performanti, riallineando così l’intero array a un livello prestazionale omogeneo. Questa strategia si combina con protocolli di calibrazione del sistema ad alta frequenza, in grado di agire su ciascun qubit e sulle interazioni tra di essi, intervenendo via software per mantenere bassi gli errori e sfruttare appieno la capacità di riconfigurazione hardware del processore.


I risultati ottenuti con Willow dimostrano che la correzione degli errori è ora realmente implementabile e utile nel percorso verso un computer quantistico di larga scala. L’ottenimento di un qubit logico, ovvero un insieme di qubit fisici che collaborano per rappresentarne uno più stabile e utilizzabile in calcoli prolungati, segna il superamento di una soglia storica. Non si tratta più di un concetto teorico o di un traguardo elusivo, bensì di un fenomeno osservato sperimentalmente. Questo aspetto assume una valenza strategica per il futuro: se è possibile costruire un chip che migliora il suo funzionamento quanto più cresce, è ipotizzabile arrivare a configurazioni di dimensioni tali da affrontare problemi computazionali al momento inaccessibili alle macchine classiche.

 

Benchmark e confronto con i supercomputer classici

Valutare un computer quantistico significa confrontarlo con i suoi omologhi classici, le macchine che tutt’oggi dominano la scena nei settori del calcolo ad alte prestazioni. Per mettere alla prova Willow è stata utilizzata la random circuit sampling (RCS), una procedura di benchmarking ormai divenuta standard nel campo. La RCS consiste nel far eseguire al computer quantistico il campionamento di circuiti quantistici casuali, una tipologia di problema che la macchina classica simula con grandi difficoltà. Tale difficoltà cresce in modo esponenziale con il numero di qubit e la complessità del circuito.


L’idea alla base di questo test è verificare se il processore quantistico riesce a svolgere in tempi ragionevoli un compito che un calcolatore classico eseguirebbe, a parità di condizioni, in un intervallo talmente ampio da non risultare pratico. Se il computer quantistico mostra un vantaggio netto, vuol dire che ci si avvicina ad applicazioni non più riproducibili sui migliori sistemi classici.Willow ha eseguito la RCS in meno di cinque minuti, una tempistica estremamente ridotta a fronte della proiezione di quanto impiegherebbe uno dei più potenti supercomputer esistenti. Se si considerano le risorse classiche ottimali, l’algoritmo corrispondente potrebbe richiedere circa 10^25 anni, un tempo astronomico che supera l’età dell’universo. Occorre sottolineare che questo tipo di benchmark non è direttamente legato a un’applicazione pratica di interesse per le imprese o per l’economia reale. È uno stress test, un criterio di ingresso per comprendere se la potenza quantistica supera i limiti classici.


Ciò stabilisce un punto fermo: Willow ha mostrato un vantaggio di scala enorme, segnando un divario difficilmente colmabile con i metodi classici. È tuttavia legittimo attendersi che i supercomputer classici possano migliorare, ottimizzando i loro algoritmi e sfruttando memorie più avanzate. Nonostante ciò, la velocità di crescita prestazionale del chip quantistico è tale da far pensare che la distanza non potrà che aumentare.Questo esperimento non si limita a dire che Willow è “più veloce” per un compito specifico. Il suo significato profondo risiede nel dimostrare che i computer quantistici possono già oggi realizzare compiti difficili per i calcolatori classici, anche se il compito stesso non ha ancora un’applicazione commerciale diretta. È come aprire una porta su un mondo in cui la modellazione dei fenomeni naturali, l’esplorazione di materiali avanzati, la comprensione di sistemi complessi e la ricerca di soluzioni in ambiti come la chimica dei farmaci potrebbero essere condotte con un approccio più potente e flessibile.

 

Prestazioni di riferimento e obiettivi futuri

Willow è nato in un ambiente di produzione unico nel suo genere, un’infrastruttura dedicata alla fabbricazione di chip quantistici progettata per massimizzare la qualità e la resa finale. L’evoluzione di Willow non si è fermata all’incremento dei tempi di coerenza: il dispositivo conta 105 qubit, un numero non banale per un chip di fascia così avanzata, ed è stato ottimizzato per operazioni logiche a due qubit, per velocità di lettura più alte e per garantire una qualità uniforme su tutto il processore. La T1, ovvero la scala temporale su cui un qubit mantiene lo stato quantistico prima di decadere, mostra ora valori di rilievo, segno che l’ingegnerizzazione del sistema, con connettività ottimizzata tra i qubit e strategie di calibrazione continua, è la strada giusta per aumentare stabilità e affidabilità.


Un obiettivo dichiarato è passare oltre la mera dimostrazione di superiorità rispetto ai modelli classici su compiti non applicativi, puntando a risultati utili nel mondo reale. Fino ad ora, la ricerca si è polarizzata su due filoni: da un lato, benchmark come la RCS, che certificano un gap prestazionale rispetto ai supercomputer classici; dall’altro, esperimenti di simulazione quantistica di sistemi fisici con valore scientifico, ma tuttora riproducibili da computer classici, seppure con fatica. Il traguardo a cui si tende è unire i due aspetti, dimostrando la capacità di svolgere un calcolo che non sia riproducibile da macchine classiche e che al contempo abbia ricadute pratiche. Il cammino potrebbe condurre ad applicazioni nel settore farmaceutico, per lo sviluppo di batterie più efficienti e per l’indagine di reazioni complesse, spingendo la ricerca in direzioni ancora da esplorare con gli approcci convenzionali. Il messaggio è chiaro: più che insistere sul numero di qubit, serve mantenere e incrementare la qualità del chip e l’affidabilità delle sue operazioni, per raggiungere quella soglia in cui la computazione quantistica diventa un elemento strategico e spendibile in svariati contesti industriali e scientifici.


Conclusioni

Le tecnologie quantistiche come Willow si inseriscono in uno scenario in cui il confine tra ciò che è computabile in modo efficiente e ciò che non lo è affatto si sta ridefinendo. Oggi, le imprese si trovano di fronte a un panorama complesso, fatto di investimenti in tecnologia classica consolidata e nuove speranze riposte nelle macchine quantistiche. È inevitabile che vi sia una fase ibrida, in cui la cooperazione fra hardware quantistico e classico, insieme allo sviluppo di software mirati, contribuirà a individuare i problemi più adatti all’uno o all’altro paradigma. Non ha senso attendersi un salto improvviso verso una realtà in cui la quantistica soppianti tutto ciò che è venuto prima; piuttosto, ciò che emerge è un lento ma costante avvicinamento a livelli di prestazione inediti.La vera posta in gioco risiede nella capacità di ridisegnare i modelli di business, di capire quando e come i dati elaborabili da un computer quantistico possano aprire la strada a scoperte e soluzioni fino ad ora lontane.


È come disporre di un nuovo strumento in grado di modellare aspetti del mondo fisico altrimenti ingestibili: non necessariamente più rapido, ma diverso e complementare. È importante non concentrarsi unicamente sul confronto numerico con i supercomputer classici, ma comprendere a fondo le implicazioni strategiche e competitive: dove ci porterà questa capacità di error correction esponenziale, questa coerenza estesa, questa abilità di ridurre lo scarto tra potenza teorica e implementazione pratica? Per le imprese, capire come integrare o sfruttare la computazione quantistica sarà come imparare una nuova lingua: servirà tempo, formazione, ricerca di partner e consulenti esperti, e soprattutto una visione aperta.


La riflessione più profonda consiste nel considerare che la computazione quantistica non è solo una corsa alla potenza grezza, ma un passaggio verso una differente concezione del calcolo. Le aziende che, già oggi, investono nel comprendere i significati di questi avanzamenti non dovrebbero chiedersi semplicemente se una particolare tecnologia sia più veloce o più efficiente, ma piuttosto come il suo approccio al problema sia capace di far emergere dinamiche impreviste, nuove metriche di valore e percorsi strategici ancora non sondati. È questa capacità di rimodellare il pensiero computazionale, e non soltanto quella di superare i tempi di una macchina classica, a offrire la prospettiva di vantaggi competitivi non banali e una comprensione più profonda dei sistemi complessi con cui le imprese si confrontano. L’evoluzione di Willow e di dispositivi simili non andrà considerata come un evento isolato, bensì come un processo, un continuum di perfezionamenti, un graduale allineamento del pensiero manageriale a nuove coordinate tecnologiche e intellettuali. La promessa, per chi saprà trarne frutto, non sarà uno scarto improvviso, ma l’acquisizione di strumenti analitici capaci di rendere il tessuto strategico delle imprese più versatile, resiliente e aperto a un futuro ancora da interpretare.



 

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