Nel documento “Regulatory sandboxes for AI and Cybersecurity. Questions and answers for stakeholders” a cura di Alessandro Armando, Andrea Simoncini e del CINI, con il supporto di SERICS–Eraclito e CybeRights, è esaminato il ruolo delle sandbox normative per sperimentare tecnologie emergenti in modo controllato. Il fulcro dell’indagine verte sull’Intelligenza Artificiale e sulla Cybersecurity, evidenziando come tali strumenti possano favorire la collaborazione fra autorità e imprese, pur garantendo la tutela della collettività. Le sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity rappresentano il cardine di questa riflessione, poiché consentono di sperimentare, in un ambiente vigilato, l’adozione di soluzioni avanzate e di sicurezza informatica. L’idea alla base è favorire la sinergia fra autorità pubbliche e imprese, creando un clima di reciproco apprendimento e condivisione di conoscenze. Grazie a questi meccanismi sperimentali, si mira a rafforzare la fiducia nel mercato digitale, bilanciando innovazione, tutela dei diritti e sostenibilità operativa
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Le basi regolatorie delle sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity
Le sandbox normative nascono dalla consapevolezza che la rapidità con cui si sviluppano le tecnologie digitali rende difficile intervenire con norme statiche e generiche. Tale consapevolezza si è accentuata soprattutto quando innovazioni come l’Intelligenza Artificiale hanno iniziato a incidere sulla vita quotidiana e sui modelli di business, richiedendo forme di supervisione più dinamiche. Nella ricerca “Regulatory sandboxes for AI and Cybersecurity” è sottolineato il valore di queste sperimentazioni, attraverso cui le autorità competenti affiancano imprese, start-up e centri di ricerca nell’implementazione di soluzioni inedite, bilanciando flessibilità e sicurezza.
Le sandbox non sono semplici spazi senza regole. Al contrario, l’elemento caratterizzante consiste nell’uso di condizioni concordate che delimitano la durata dei test, le finalità, i criteri di valutazione e i parametri di sicurezza, mantenendo comunque validi gli obblighi essenziali previsti dalle normative esistenti. Questa impostazione nasce dal principio che un’innovazione non deve essere ostacolata da rigidità eccessive, ma al contempo non può ignorare i rischi per la collettività. Il dialogo fra autorità e soggetti sperimentatori si traduce in un modello di reciproco apprendimento: le imprese comprendono meglio le priorità in tema di protezione dati e sicurezza, mentre i regolatori acquisiscono informazioni utili per migliorare gli strumenti normativi.
L’introduzione di sandbox normative è già stata sperimentata in diversi settori, in particolare in quello finanziario, dove si è visto come un ambiente vigilato ma non privo di obblighi di trasparenza possa spingere a nuove soluzioni senza compromettere la stabilità dei mercati. Tale esperienza ha fatto scuola e trova un ideale terreno di applicazione nei progetti di AI, i quali spesso coinvolgono algoritmi ad alto impatto, in settori come la sanità, la mobilità, l’energia e i servizi pubblici digitali. La sandbox, infatti, consente di adattare in tempo reale l’approccio regolatorio, calibrando l’evoluzione degli standard tecnici con un monitoraggio costante, evitando così che norme definitive vengano emanate su basi teoriche e obsolete.
Inoltre, alcune autorità hanno sperimentato forme di deroga limitata alle norme, soprattutto quando esistono vuoti legislativi o difficoltà interpretative: ciò avviene previo accordo dettagliato su parametri e valutazioni di impatto. Tuttavia, è cruciale che questa flessibilità non si trasformi in arbitrio o in mancanza di supervisione: le deroghe non possono sacrificare diritti e principi fondamentali, e ogni sperimentazione deve conservare l’obbligo di rendere conto del proprio operato. Questo equilibrio tra flessibilità e tutela disegna un quadro in cui la sandbox diventa un’opportunità di verifica concreta delle misure di sicurezza e dei meccanismi di controllo dei rischi.
Rischi e opportunità nell’adozione delle sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity
Nell’ambito delineato dall’AI Act, emerge con chiarezza l’intento di definire normative specifiche per i sistemi di intelligenza artificiale, ponendo particolare attenzione ai criteri di precisione, affidabilità, trasparenza e gestione dei rischi. Tuttavia, questi requisiti tecnici non sono sufficienti, da soli, a risolvere le molteplici questioni etiche e di sicurezza informatica che sorgono quando un modello di intelligenza artificiale viene introdotto in applicazioni concrete. Per affrontare tali sfide, si è sviluppato il concetto di sandbox dedicate ai progetti di AI: ambienti controllati in cui sviluppatori e autorità collaborano per individuare criticità di natura tecnica e legale, valutando il comportamento degli algoritmi in condizioni operative reali.
Uno dei problemi più ricorrenti nei sistemi di intelligenza artificiale riguarda la qualità e la rappresentatività dei dati impiegati nell’addestramento. Dataset incompleti o distorti possono determinare risultati discriminatori da parte dell’algoritmo, anche in modo involontario. Un esempio concreto è un sistema di selezione del personale che, basandosi su dati storici, penalizzi inconsapevolmente determinate categorie di candidati, riproducendo così discriminazioni preesistenti. Le sandbox permettono di affrontare questi problemi in modo pratico: i partecipanti, sotto la supervisione delle autorità competenti, devono verificare l’origine e la correttezza dei dati, pianificare test per valutare la robustezza del modello e implementare procedure di conformità che non si limitino ad aspetti formali, ma garantiscano un’effettiva equità e affidabilità del sistema.
Un ulteriore aspetto critico è rappresentato dalla sicurezza informatica. Tecniche di attacco come l’avvelenamento dei dati possono indurre il sistema a commettere errori gravi, con conseguenze potenzialmente molto dannose. Ad esempio, un veicolo autonomo potrebbe essere ingannato da segnali stradali modificati intenzionalmente, portandolo a prendere decisioni errate, oppure un sistema di diagnosi medica potrebbe subire alterazioni nei dati delle analisi, compromettendo la correttezza delle valutazioni cliniche. Le sandbox dedicate all’intelligenza artificiale, in collaborazione con esperti di sicurezza informatica, offrono la possibilità di sperimentare e validare misure di protezione, sviluppando standard di resilienza più efficaci. Questi test forniscono un riscontro essenziale per trovare il giusto equilibrio tra l’apertura e l’interoperabilità dei sistemi AI e la necessità di prevenire attacchi informatici.
Per rendere più comprensibile il ruolo delle sandbox, si può paragonarle a un laboratorio sperimentale in cui un nuovo farmaco viene testato prima di essere approvato per l’uso pubblico. Così come un medicinale deve dimostrare la sua sicurezza ed efficacia prima di essere somministrato ai pazienti, un modello di intelligenza artificiale deve superare prove rigorose per garantire che il suo funzionamento sia equo, affidabile e sicuro prima di essere implementato su larga scala.
Un altro aspetto fondamentale da considerare è la trasparenza. I sistemi di intelligenza artificiale che operano come black box, ovvero modelli il cui funzionamento interno è opaco e difficilmente interpretabile, risultano incompatibili con la fiducia degli utenti e con il principio secondo cui le decisioni automatizzate devono essere comprensibili. Anche se non tutti gli utenti possono cogliere la complessa matematica che governa questi modelli, è essenziale che almeno gli effetti delle loro decisioni siano chiari e prevedibili.
Le sandbox rappresentano un ambiente ideale per sperimentare strumenti e metriche che migliorino la trasparenza e la tracciabilità dei sistemi AI. Questo avviene, ad esempio, attraverso la documentazione dettagliata dei processi decisionali e l’utilizzo di log, ossia registri che tracciano le operazioni svolte dall’algoritmo e ne permettono l’analisi a posteriori. In questi contesti, inoltre, si studia in maniera pratica l’impatto delle tecniche di explainability, ovvero quei metodi che rendono le decisioni dell’algoritmo più interpretabili.
Un punto cruciale in questo processo è la valutazione del bilanciamento tra trasparenza, costi e prestazioni. Infatti, fornire spiegazioni dettagliate sulle decisioni di un modello può richiedere risorse computazionali aggiuntive, rallentando il sistema o aumentandone i costi di gestione. Le sandbox permettono di individuare le soluzioni più adatte, trovando il compromesso tra chiarezza delle decisioni e mantenimento dell’efficienza operativa.
Per comprendere meglio il concetto, si pensi a un motore di ricerca che classifica i risultati in base a un algoritmo complesso. Se l’utente non ha modo di capire perché certi risultati compaiano in cima e altri siano relegati in fondo, potrebbe sviluppare sfiducia nel sistema. Una soluzione di explainability potrebbe fornire un’indicazione chiara, come “questo risultato è stato mostrato perché il sito è stato visitato da utenti con interessi simili ai tuoi”. Questo tipo di trasparenza, testata nelle sandbox, permette di rendere i sistemi più affidabili e accettabili per il pubblico, senza compromettere eccessivamente le loro prestazioni.
A fronte di tali opportunità, è essenziale che la cooperazione fra soggetti pubblici e privati sia gestita con equilibrio per evitare conflitti di interesse o squilibri di potere. Le autorità hanno il compito di promuovere la sperimentazione, ma anche di imporre precisi limiti quando l’interesse generale lo richiede. Dal canto loro, le imprese devono considerare la collaborazione non come un semplice adempimento, bensì come un’occasione concreta per migliorare la qualità e la sicurezza delle soluzioni AI. Solo così la sandbox può esprimere pienamente i suoi benefici, traducendo la ‘buona fede’ di tutte le parti in risultati tangibili per il mercato e la collettività.
Protezione cibernetica: il ruolo cruciale delle sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity
La sicurezza informatica rappresenta un elemento essenziale nello sviluppo e nell'adozione dei sistemi di intelligenza artificiale, poiché questi dipendono sempre più da infrastrutture digitali interconnesse.
L'evoluzione delle normative, come il Cyber Resilience Act e la direttiva NIS2, impone alle aziende di adottare misure di sicurezza adeguate a far fronte alle minacce sempre più complesse. Tra queste minacce rientrano attacchi mirati alla manipolazione dei dati utilizzati per addestrare i modelli di intelligenza artificiale e intrusioni finalizzate a compromettere il funzionamento delle reti neurali.
Tuttavia, molte imprese non dispongono di un'adeguata conoscenza su come gestire efficacemente i rischi legati alla sicurezza dei loro sistemi di AI. In questo contesto, l'uso della sandbox risulta particolarmente utile, poiché permette di simulare realisticamente scenari di attacco, valutare la resistenza degli algoritmi e dei sistemi di supporto e verificare la conformità alle normative vigenti. Tale approccio consente di testare non solo la sicurezza integrata nel progetto iniziale (security by design), ma anche quella operativa, prendendo in considerazione errori di configurazione e vulnerabilità nella trasmissione delle informazioni tra i diversi componenti del sistema.
Il rapporto tra le autorità di regolamentazione e i partecipanti alle sandbox consente alle aziende di ricevere un supporto diretto nell'applicazione corretta di standard internazionali, come l'ISO/IEC 27005, utile per la gestione dei rischi in ambito informatico.
Un problema di particolare importanza riguarda la gestione dei dati sensibili in ambienti di test condivisi. Per esempio, se un ospedale e un centro di ricerca collaborano in una sandbox per sviluppare strumenti diagnostici basati su AI, è fondamentale garantire la sicurezza delle cartelle cliniche e prevenire eventuali manipolazioni dei parametri utilizzati per l'addestramento del modello.
Un altro aspetto rilevante è la formazione del personale responsabile della sicurezza e dello sviluppo delle soluzioni di intelligenza artificiale. Le aziende coinvolte nelle sandbox spesso si rendono conto che i loro tecnici e dirigenti necessitano di una preparazione più approfondita non solo dal punto di vista informatico, ma anche in ambito normativo ed etico. Per questo motivo, alcune sandbox prevedono workshop e il coinvolgimento di esperti esterni, al fine di diffondere una cultura della sicurezza che integri la protezione cibernetica in tutte le fasi di sviluppo e gestione delle soluzioni AI.
Infine, un aspetto critico riguarda le risorse disponibili per le autorità di controllo. La supervisione di progetti complessi e il mantenimento di un dialogo costante con le aziende possono rappresentare un impegno oneroso. Per affrontare questa sfida, è fondamentale un coordinamento centralizzato, come quello previsto dall’AI Office o dalle autorità nazionali di cybersecurity, per evitare duplicazioni di sforzi e garantire un'efficace condivisione delle informazioni. A lungo termine, questo potrebbe portare alla definizione di pratiche di sicurezza condivise su scala europea, semplificando il lavoro delle autorità di vigilanza e offrendo a imprese e centri di ricerca linee guida operative per proteggere i loro algoritmi in maniera coerente e strutturata.
Applicazioni reali: vantaggi e limiti delle sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity
Gli esempi di sandbox attive in alcuni Paesi europei confermano come esse possano fungere da acceleratori di progetti innovativi in settori critici. Alcune evidenze mostrano che le fintech sandbox hanno permesso a imprese emergenti di testare modelli di pagamento su scala ridotta, sotto monitoraggio dell’autorità bancaria, riducendo così i tempi di entry-to-market. Questo successo ha spinto altri regolatori a replicare l’idea su temi quali la protezione dei dati, la robotica e, non ultimo, l’AI. Eppure, dai risultati concreti delle prime applicazioni, emergono anche limiti evidenti.
Un limite tipico riguarda la complessità di selezionare i progetti più maturi, poiché non tutti presentano requisiti ben definiti o standard adeguati. Per evitare dispersioni, le sandbox spesso si basano su bandi aperti, cui segue una valutazione centrata su criteri di innovazione, impatto potenziale e solidità finanziaria. Anche la definizione dell’exit strategy richiede attenzione: una volta conclusa la sperimentazione, un progetto conforme alle norme deve poter passare rapidamente alla fase di mercato. Se tale passaggio non è chiarito, i risultati raggiunti rischiano di restare incompiuti, generando incertezza negli investitori. È inoltre cruciale il tema delle risorse e delle competenze: le autorità che coordinano le sandbox necessitano di profili specializzati non solo in ambito giuridico, ma anche in quello tecnico e organizzativo. In mancanza di questi presupposti, la supervisione rischia di ridursi a un mero controllo formale, mentre le aziende coinvolte non ricevono un supporto realmente orientato alla gestione dei rischi e allo sviluppo di procedure affidabili.
Ne deriva che in alcuni contesti le sandbox hanno mostrato risultati modesti. Un ulteriore aspetto critico è il rischio di “risk-washing”, in cui un’azienda potrebbe sfruttare la sperimentazione per autopromuoversi come esente da criticità. Per contrastare questa dinamica, è necessario rendere trasparenti gli esiti dei test e comunicare con chiarezza i limiti delle verifiche condotte, evitando qualsiasi forma di indebita ‘certificazione di sicurezza’. La dimensione etica si collega all’indipendenza delle autorità, che non devono apparire come soggetti influenzabili o volti unicamente a sostenere l’industria a scapito dei diritti fondamentali. Solo così è possibile garantire un equilibrio credibile tra sviluppo tecnologico e tutela dell’interesse generale.
La frammentazione regolatoria fra i vari Paesi può indurre le imprese a privilegiare le giurisdizioni più permissive, rischiando di minare l’applicazione uniforme delle regole europee e di penalizzare i Paesi più rigorosi. Per evitare questa deriva, l’Unione europea promuove la cooperazione fra Autorità nazionali e la condivisione di buone pratiche, attraverso meccanismi di consultazione e scambi di informazioni transnazionali. L’adozione di principi comuni nella strutturazione delle sandbox potrebbe scongiurare strategie di arbitraggio e rafforzare l’armonizzazione del mercato unico.
Nel complesso, i riscontri empirici sulle sandbox su AI e Cybersecurity evidenziano potenzialità, come l’accelerazione dell’innovazione e la formazione di cluster specializzati, ma anche rischi concreti dovuti a possibili distorsioni. L’esperienza insegna che non è sufficiente lanciare una sandbox per garantire risultati tangibili: servono regole chiare, risorse adeguate, meccanismi di trasparenza e rendicontazione, nonché la disponibilità a condividere le conoscenze acquisite per favorire una regolamentazione futura più solida e aggiornata. Questa lezione vale per qualunque Paese e settore, e indica che i progetti di sandbox andrebbero collegati a politiche di sistema, incentivando scambi costanti tra tecnici, giuristi e decisori.
Prospettive future: come evolveranno le sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity
Guardando al futuro, le sandbox normative per AI e Cybersecurity sembrano destinate a diventare un tassello sempre più rilevante nelle politiche digitali, offrendo un quadro sperimentale di supporto al mercato e alle imprese. È plausibile che il prossimo passo sia una diffusione più capillare di questi strumenti, anche in ambiti come la salute digitale, l’analisi dei big data ambientali e la mobilità sostenibile. L’obiettivo di lungo periodo è la costruzione di un ecosistema in cui le autorità siano in grado di intervenire in tempo reale sui nodi critici, grazie a un flusso continuo di informazioni provenienti dai progetti in corso.
Al contempo, perché l’utilizzo delle sandbox produca effetti benefici, è necessario che l’Unione europea e gli Stati membri chiariscano meglio la portata di tali iniziative. Sarebbe auspicabile che i futuri atti di esecuzione dell’AI Act definiscano criteri comuni per l’ammissione dei partecipanti, garanzie procedurali e limiti precisi alle possibili deroghe. Anche la sinergia con il Cyber Resilience Act potrebbe rafforzare l’affidabilità delle soluzioni tecnologiche testate, rendendo più agevole il passaggio dal prototipo al prodotto commercializzabile. In questo senso, la consultazione costante con enti di standardizzazione potrebbe ulteriormente allineare i requisiti tecnici e di sicurezza a livello europeo, prevenendo frammentazioni nel mercato.
Un ulteriore sviluppo auspicabile consiste nell’integrazione di principi etici e di responsabilità sociale all’interno delle sandbox. L’esperienza insegna che l’aderenza formale a una norma non garantisce automaticamente un impiego fair dell’AI. L’introduzione di procedure di valutazione d’impatto e di meccanismi di audit interno alle sandbox consentirebbe di valutare non solo gli aspetti di rischio, ma anche la qualità dei risultati e gli effetti su segmenti vulnerabili della popolazione. L’adozione di parametri comuni per la misurazione di impatti e benefici darebbe forma a una cultura di responsabilità condivisa, che stimoli la creazione di tecnologie realmente orientate al bene comune.
Rimane centrale il tema della formazione e aggiornamento delle competenze nelle autorità di vigilanza, affinché il monitoraggio non risulti puramente simbolico. Le sandbox mostrano infatti la propria utilità solo quando c’è un confronto paritetico tra regolatori e innovatori, in cui gli uni imparano dagli altri e i correttivi alle politiche pubbliche si basano su evidenze concrete. Per raggiungere questo traguardo, è indispensabile un programma di investimenti mirati, che fornisca alle autorità risorse e competenze adeguate. Parallelamente, occorre un maggior coordinamento tra le diverse sedi nazionali, cosicché le lezioni apprese in una sandbox possano alimentare miglioramenti altrove, in un circolo virtuoso di condivisione.
Uno dei compiti più delicati consiste nell’evitare che la sandbox diventi un marchio di eccellenza non corrispondente alla realtà. Sebbene chi partecipi possa essere tentato di “vantare” l’esperienza per incrementare la propria credibilità, è necessario specificare che la sandbox non fornisce di per sé una “certificazione generale” di sicurezza o conformità. Le autorità, di conseguenza, dovrebbero rendere pubblici i criteri di valutazione applicati nel progetto e i limiti della verifica effettuata. In tal modo, si contrasta il rischio di ethics washing o di comportamenti speculativi, garantendo una corretta percezione degli esiti.
Nel complesso, le linee di sviluppo passano attraverso un consolidamento delle sandbox come vere e proprie palestre di innovazione responsabile, in cui la sinergia tra imprese, amministrazioni e centri di ricerca punti alla costruzione di tecnologie solide sotto il profilo sia normativo sia valoriale. Tale evoluzione, se ben gestita, potrebbe divenire un esempio di governance collaborativa, capace di anticipare la rapida evoluzione dell’Intelligenza Artificiale e della Cybersecurity e di far emergere tempestivamente soluzioni che bilancino progresso e sicurezza.
Conclusioni
Le sandbox normative per l’Intelligenza Artificiale e la Cybersecurity possono diventare molto più di una semplice “zona franca” in cui testare prodotti o servizi emergenti. Se progettate con lungimiranza, rappresentano un vero e proprio laboratorio di competenze, dove imprenditori, dirigenti e tecnici hanno la possibilità di confrontarsi con aspetti di governance, sicurezza e impatto sociale in modo congiunto.
La sfida non è soltanto rispettare i requisiti normativi, ma integrare le indicazioni che emergono dalla sperimentazione nella cultura aziendale. Un’impresa che si limita a ottenere un giudizio positivo all’interno di una sandbox rischia di non capitalizzare i vantaggi di un confronto strutturato con le Autorità e con altri attori di mercato. Al contrario, chi fa di questo percorso un’occasione per ampliare conoscenze, testare processi interni e migliorare la resilienza dei sistemi può definire uno standard che si riverbererà in tutte le fasi di sviluppo e distribuzione dei propri prodotti.
In un panorama competitivo in cui la fiducia riveste un ruolo centrale, riuscire a dimostrare che la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali sono radicati nei processi di innovazione può risultare decisivo per attrarre investitori e consolidare la reputazione. Le sandbox non dovrebbero essere un traguardo in sé, ma l’innesco di un dialogo permanente: uscirne con procedure più solide, best practice condivise e una visione chiara dei rischi emergenti consente di affrontare le sfide future con maggiore agilità.
Per i dirigenti, ciò significa tradurre i principi normativi in linee guida operative che orientino le decisioni dell’azienda. Per i tecnici, vuol dire sperimentare fin da subito soluzioni di sicurezza by design e strumenti di explainability, trasformando la compliance in un vantaggio competitivo. E per gli imprenditori, rappresenta la possibilità di dare forma a un modello di business in cui l’innovazione tecnologica va di pari passo con la responsabilità collettiva.
Se si intende proseguire su questa strada, è utile pensare alle sandbox come a un punto di partenza anziché di arrivo: una volta terminata la sperimentazione, occorre mantenere aperti i canali di confronto per aggiornare costantemente regole e pratiche operative, evitando che l’approccio sperimentale resti un episodio isolato. Così facendo, si crea un circolo virtuoso in cui le evidenze raccolte alimentano progressivamente nuove norme, più eque e realistiche, mentre le imprese si rafforzano dal punto di vista organizzativo e tecnologico.
In definitiva, l’orizzonte non è la semplice conformità, ma un ecosistema dinamico in cui regolatori e operatori agiscono come partner interessati a valorizzare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale e della Cybersecurity a beneficio dell’intera società. Chi saprà interpretare le sandbox in questa prospettiva potrà ambire a una crescita strutturata, sostenibile e aperta all’innovazione continua, dando forma a soluzioni che resistono all’evoluzione delle minacce e delle esigenze di mercato.
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