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ROI dell’Intelligenza Artificiale: fattori chiave, rischi e strategie vincenti

Immagine del redattore: Andrea ViliottiAndrea Viliotti

La ricerca "ROI dell’Intelligenza Artificiale", sviluppata da IBM in collaborazione con Lopez Research e Morning Consult nel dicembre 2024, analizza le esperienze di 2.413 IT Decision Makers provenienti da 12 Paesi. L’indagine esplora vantaggi, sfide e prospettive dell’implementazione su larga scala dell’AI, con un focus su metriche di ROI, ostacoli all’adozione e trend futuri, offrendo spunti strategici per imprenditori, dirigenti e professionisti. Dall’analisi emergono la spinta verso l’innovazione, le diverse modalità di calcolo della redditività e i gap di competenze che possono ostacolare il passaggio da progetto pilota alla produzione.

ROI dell’Intelligenza Artificiale
ROI dell’Intelligenza Artificiale: fattori chiave, rischi e strategie vincenti

ROI e Intelligenza Artificiale: strategie globali e opportunità

Il documento evidenzia una tendenza che coinvolge 2.413 IT Decision Makers (ITDMs) provenienti da Stati Uniti, Canada, Messico, Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, India, Singapore, Indonesia e Corea del Sud. Ogni ITDM appartiene a imprese con oltre 100 dipendenti, ricopre ruoli di livello dirigenziale o superiore in ambito tecnologico e possiede potere decisionale in almeno un’area tra consulenza, acquisto di prodotti IT o servizi di business consulting. L’indagine, realizzata online fra il 30 ottobre e il 13 novembre 2024, presenta un margine di errore di ±2 punti percentuali e offre uno spaccato ampio su come le aziende stiano misurando e percependo il ritorno sugli investimenti in AI.


I dati mostrano che l’85% dei partecipanti dichiara di aver compiuto progressi concreti nell’esecuzione della propria strategia di intelligenza artificiale, con un 43% che ha raggiunto risultati significativi. Questo indica una forte inclinazione a integrare soluzioni basate sull’AI in processi di business già strutturati. Tuttavia, l’aspetto più rilevante è che tali investimenti non sempre partono dalla necessità di ricavi immediati. Un 41% degli interpellati, infatti, ammette di essere guidato in egual misura da ROI e spinta verso l’innovazione. In altri termini, chi sceglie di adottare soluzioni di intelligenza artificiale tende a bilanciare il desiderio di vantaggi tangibili con l’interesse a sperimentare funzioni più avanzate e in linea con il progresso tecnologico. Solo il 31% si dichiara prevalentemente votato all’innovazione, mentre un 28% si concentra di più sui risultati economici misurabili. Questa dialettica fra innovazione e ROI crea uno scenario in cui i fattori di valutazione non si esauriscono nel puro dato economico, ma abbracciano la produttività, la soddisfazione del personale e l’efficienza operativa.


Dalle percentuali indicate emerge che le grandi aziende con oltre 1.000 dipendenti progrediscono più rapidamente nella strategia di intelligenza artificiale rispetto a quelle di dimensioni più contenute. Ciò potrebbe derivare dalla capacità di investire in infrastrutture e competenze adeguate. In Paesi come India e Brasile, si osserva un'elevata quota di imprese che dichiara di aver conseguito risultati significativi. Questi mercati, spesso definiti “in via di sviluppo”, mostrano una forte dinamicità nel passaggio rapido dalla fase di ideazione a quella di attuazione. Alcuni intervistati riportano una transizione dalle iniziative sperimentali a soluzioni operative in meno di un anno, soprattutto quando il sostegno della leadership aziendale è accompagnato da risorse adeguate.


Secondo quanto riportato, l’attenzione non si focalizza unicamente sul risparmio di costi. Metriche come faster software development o productivity time savings assumono un peso maggiore. Si tratta di parametri che riguardano l’accelerazione dello sviluppo e il miglioramento dell’efficienza, evidenziando come molte imprese cerchino di ricavare un ritorno tramite processi più veloci e sperimentazione intensiva. Nel documento, si legge che il 25% degli ITDMs considera la velocità di sviluppo software la metrica più importante, mentre il 23% fa riferimento a un’innovazione più rapida e il 22% a tempi ridotti per attività operative. Solo il 15% guarda alle mere economie di scala. I ragionamenti degli intervistati suggeriscono che non sempre si punta a ridurre i costi, bensì ad aumentare la competitività, l’efficacia dei flussi di lavoro e la capacità di creare prodotti o servizi in anticipo rispetto al mercato.


Da questa prima panoramica, appare lampante l’esistenza di una diversificazione di obiettivi nell’adozione dell’AI: se da un lato c’è chi cerca un riscontro economico diretto, dall’altro c’è chi sceglie di concentrarsi su misure come la velocità di rilascio e la soddisfazione interna. Tale dualismo permette di capire come l’AI non sia vista unicamente come un supporto tecnico, bensì come un fattore di rinnovamento aziendale di ampio spettro. La ricerca evidenzia, inoltre, come il 32% degli ITDMs giudichi l’aumento dell’efficienza nelle operazioni IT l’indicatore più importante di successo, mentre il 21% segnala l’innovazione di prodotto come fattore determinante. Questo suggerisce che molte imprese trovino nella semplificazione dell’ecosistema tecnologico un risultato prioritario, prima ancora di valutare altri aspetti correlati al business.


Il quadro che ne emerge non è però privo di contraddizioni. Meno della metà del campione, ossia il 47%, conferma di aver raggiunto un ROI positivo dalle iniziative di AI nel 2024. Un ulteriore 33% dichiara di essere in sostanziale pareggio, mentre il 14% riporta valori negativi. C’è poi un 6% che fatica a raccogliere metriche sistematiche su cui fondare un bilancio credibile. Questi dati si collegano al fatto che, pur essendo l’AI una priorità, non sempre le aziende dispongono di metodologie di calcolo coerenti o di processi di integrazione fluidi. La ricerca rimarca che molte organizzazioni dichiarano di avere piani di ampliamento dei progetti di AI, ma il percorso verso una redditività conclamata richiede infrastrutture, competenze e risorse che non tutti sembrano possedere.


Adozione dell’AI: metriche di ROI e sperimentazione rapida

Oltre a mostrare come l’intelligenza artificiale venga approcciata da realtà di dimensioni molto diverse, la ricerca mette in evidenza i numeri relativi ai progetti pilota e alla velocità con cui tali progetti si traducono in implementazioni complete. Circa il 58% degli ITDMs afferma di riuscire a passare dalla fase di test alla produzione entro un anno, con un 10% capace di finalizzare il tutto in meno di sei mesi. In particolare, le organizzazioni che superano i 5.000 dipendenti sono più inclini ad accelerare i processi e mostrano maggiore scioltezza nell’incorporare nuove soluzioni ai propri sistemi esistenti. Si tratta di un aspetto che interessa in modo specifico i dirigenti aziendali desiderosi di ridurre i tempi di go-to-market e di ripensare costantemente la propria offerta di prodotti.


La tendenza a eseguire più progetti contemporaneamente risalta dai dati su quanti progetti pilota sono partiti nel 2024: il 71% degli intervistati dichiara di aver avviato oltre 10 progetti pilota in un solo anno, con punte di un terzo del campione in mercati come Brasile e India che superano i 20 progetti. Si tratta di numeri indicativi di un approccio sperimentale molto dinamico, soprattutto dove l’AI viene vista come un motore di nuove opportunità industriali e di servizi. Tuttavia, accanto a questo fermento, si registra anche un consolidamento dei risultati: solo la metà dei progetti pilota avviati nel 2024 viene trasformata in iniziative pienamente operative entro la fine dell’anno, segno che passare dalla fase teorica a quella esecutiva non è sempre così immediato.


La questione dell’open-source è cruciale. Il 61% degli ITDMs utilizza ecosistemi open-source per almeno una parte dei propri strumenti di AI, mentre il 67% dichiara di preferire l’opzione di comprare o noleggiare soluzioni da fornitori terzi. Inoltre, emerge che il 55% integra competenze di sviluppo in-house, in una combinazione ibrida di risorse interne ed esterne. Gli intervistati di Messico, Spagna, Indonesia, Corea del Sud e India mostrano un’adesione ancora più spiccata alle piattaforme open-source, superando in alcuni casi il 70% di adozione. In diverse regioni, l’open-source favorisce la rapidità di sperimentazione e la possibilità di personalizzare gli algoritmi in linea con obiettivi di business specifici. Per i dirigenti, la scelta di strumenti open-source non rappresenta soltanto un abbattimento dei costi iniziali di licenza, ma anche un potenziale vantaggio in termini di flessibilità e adattabilità.


Le preferenze sulle metriche di performance offrono spunti interessanti: il 62% misura il ROI in termini di productivity time savings, mentre un ulteriore 61% osserva la rapidità di innovazione. La riduzione di tempi di risoluzione dei problemi (52%) e la velocità di sviluppo software (62%) emergono come elementi di analisi più importanti del semplice calcolo di risparmio in dollari, citato dal 43% dei partecipanti. Questa impostazione rivela come la redditività, in molti casi, venga valutata combinando parametri di efficienza e agilità, piuttosto che focalizzarsi sul classico risparmio di budget. Da un punto di vista manageriale, interpretare correttamente questi dati significa capire che la decisione di introdurre l’AI abbraccia una visione più ampia di crescita aziendale, in cui la tecnologia diventa un fattore che snellisce i flussi di lavoro e aumenta la capacità innovativa.


Proprio la capacità di innovare in tempi più stretti appare essenziale, perché offre all’azienda la possibilità di stare al passo con mercati globali in rapida evoluzione. Esempi operativi possono riguardare la riduzione dei tempi di debugging in software engineering o l’automatizzazione di analisi predittive per il marketing. Se un’impresa tradizionale punta a migliorare i risultati nel breve termine e tagliare i costi, un’azienda più proiettata sull’espansione globale potrebbe avvalersi dell’AI per sperimentare prototipi di prodotto con un ciclo di sviluppo molto ridotto. La gestione consapevole di questi processi permette di accumulare competenze interne e di raggiungere quell’equilibrio fra redditività e sperimentazione che la ricerca indica come destinato a diventare un trend dominante.


Sfide operative e strategie per migliorare il ROI nell’AI

L’analisi mostra come molte organizzazioni si trovino a fronteggiare un insieme di ostacoli tecnici e organizzativi quando cercano di portare i progetti AI dalla fase pilota a quella operativa. Il primo ostacolo citato risulta la data quality, segnalata dal 50% degli intervistati come fattore critico. In termini pratici, un progetto di AI è fortemente dipendente da dati coerenti, puliti e immediatamente disponibili. Se le informazioni risultano parziali o difficili da integrare, il sistema di machine learning non produce risultati attendibili. Molte aziende, specialmente quelle con un organico fra i 101 e i 5.000 dipendenti, confessano di incontrare difficoltà nel reperire dataset unificati o di superare problemi di duplicazione e formati eterogenei.

Un secondo ostacolo, menzionato dal 44% degli ITDMs, è l’integrazione con i sistemi esistenti. Le imprese che hanno storicamente accumulato infrastrutture informatiche di generazioni diverse, a volte faticano a far dialogare i nuovi strumenti di intelligenza artificiale con le piattaforme in produzione, come i gestionali ERP o i CRM. Concretamente, ciò può tradursi in rallentamenti nei processi di ETL (Extract, Transform, Load) o in un eccessivo sforzo di customizzazione. Per i manager, il rischio è di spendere più tempo e risorse nella manutenzione di ponti informatici che nell’estrarre valore dall’AI.


Un altro aspetto cruciale è il lack of AI expertise: il 23% degli intervistati lo definisce “molto impegnativo”. In altre parole, la costruzione di un team specializzato rappresenta una sfida notevole, sia perché la domanda di talenti AI supera l’offerta, sia perché i costi di reclutamento e formazione possono risultare elevati. Le aziende che riescono a far crescere competenze interne e a trattenere professionisti specializzati ottengono spesso risultati migliori nei progetti di intelligenza artificiale, anche perché la comprensione profonda dei modelli e dei dati facilita l’individuazione di soluzioni su misura.


La ricerca segnala poi problemi di lack of AI governance, con un 22% di risposte che indicano difficoltà nel definire regole e processi adeguati. Ciò può riguardare la responsabilità sui risultati degli algoritmi, la gestione del rischio di bias, la protezione dei dati sensibili o la definizione di un perimetro etico. In assenza di una governance chiara, le iniziative di AI rischiano di incappare in problemi legali o reputazionali, che rendono diffidenti alcuni settori dirigenziali. A ciò si aggiunge il fattore “employee adoption”: se i dipendenti non comprendono l’utilità pratica delle nuove soluzioni o le vivono come un’imposizione calata dall’alto, è più difficile ottenere un allineamento tra processi umani e processi automatizzati. La parte metodologica della ricerca, infatti, segnala che oltre il 16% dei partecipanti ravvisa ostacoli dovuti a uno scarso coinvolgimento del personale.


Sul piano pratico, uno scenario frequente è quello di un’impresa che pianifica di automatizzare una parte dei processi amministrativi: se i dati non sono ben organizzati, se l’AI non si integra nel flusso preesistente e se le figure che dovrebbero usare questi strumenti non sono addestrate, l’iniziativa si blocca in fase di test o rilascia risultati imprecisi. L’insieme di queste criticità spiega perché molte aziende lanciano più progetti pilota di quelli che poi arrivano davvero in produzione. In linea generale, per imprenditori e manager è utile considerare che la presenza di un’architettura dati solida e di una strategia di formazione continua del personale costituisce un prerequisito per non sprecare risorse e per alimentare una cultura aziendale che veda l’AI come un supporto, e non come un elemento di complicazione.


Un punto interessante è che le organizzazioni che utilizzano open-source segnalano più spesso la mancanza di una corretta governance per l’AI. Questo potrebbe derivare dalla necessità di definire processi e responsabilità più articolati, dato che l’adozione open-source consente di personalizzare le soluzioni ma, al contempo, richiede maggior coordinamento tra i vari team. Per i tecnici, la libertà offerta dal codice aperto è un vantaggio notevole, ma per i dirigenti si traduce in un’esigenza di definire regole e controlli di sicurezza più rigorosi, in modo da evitare che ogni sviluppatore operi in modo scollegato dalla visione d’insieme.


Futuro dell’AI: investimenti e miglioramento del ROI

Guardando al futuro, la ricerca evidenzia una forte tendenza verso un aumento degli investimenti in intelligenza artificiale entro il 2025: il 62% degli intervistati intende destinare più risorse rispetto all'anno precedente. Questo fenomeno è particolarmente evidente in Paesi come Messico, Corea del Sud, Brasile e soprattutto India, dove il 93% dei responsabili IT prevede di incrementare i finanziamenti per i progetti legati all’intelligenza artificiale. Questo quadro, oltre a riflettere un ottimismo sul potenziale dell’AI, suggerisce che molte aziende puntino a valorizzare le esperienze passate, migliorando la gestione della transizione dalla fase pilota alla piena operatività.


Un altro dato importante riguarda il numero di progetti previsti per il 2025. Circa un terzo dei rispondenti afferma che la propria azienda aprirà più di 20 nuovi progetti pilota di AI nell’arco di un solo anno, in netto aumento rispetto al 2024. L’obiettivo comune è accelerare lo sviluppo di use case, sperimentando soluzioni volte a migliorare diverse aree aziendali: IT operations, gestione dei dati, innovazione di prodotto e software coding. Per i dirigenti, questo scenario implica l’opportunità di definire una road map più chiara, dove le iniziative non si sovrappongano in modo casuale, ma siano orchestrate per generare valore in maniera sequenziale. A un livello strettamente operativo, ciò si traduce nell’esigenza di definire priorità, stabilire KPI di valutazione e favorire la circolazione di competenze, così che le lezioni apprese in un progetto possano essere utilizzate in un altro.


Ci sono casi in cui l’azienda pianifica di aumentare la propria dipendenza dall’open-source nel 2025. Il passaggio dall’attuale 37% di soluzioni open-source a un 41% stimato per il prossimo anno suggerisce che la spinta verso piattaforme condivise e modelli pubblici continua a crescere. Emerge, infatti, che i Paesi con tassi elevati di open-source usage (come l’India, in cui si stima che il 70% delle soluzioni di AI sarà basato su piattaforme aperte) puntino a rafforzare questa direzione per garantire maggiore flessibilità e ridurre i costi di licensing. Tuttavia, bisogna ricordare che, come già evidenziato, questa scelta impone una governance interna più strutturata, un continuo aggiornamento di skill e una capacità di gestione coordinata di progetti complessi.


Nella ricerca figurano anche i cambiamenti previsti per ottimizzare le implementazioni AI: un 51% del campione dichiara di voler adottare più assiduamente i cloud managed services, un 48% di voler assumere talenti specializzati e un ulteriore 48% di voler incrementare l’utilizzo di open-source. Alcuni pensano di rivedere i modelli di AI, magari scegliendone di diversi o mettendoli a confronto per identificare i più performanti nelle specifiche aree di utilizzo. Altri valutano di ripensare i flussi di lavoro, concentrandosi sugli use case che hanno fornito risultati tangibili nel corso degli ultimi mesi. L’idea di aggiungere nuovi casi d’uso, al contempo, rispecchia la volontà di sperimentare soluzioni orizzontali, come algoritmi di analisi predittiva in settori che vanno oltre lo sviluppo software, includendo la finanza, la logistica o il marketing.


Un aspetto pratico utile ai manager è l’identificazione di quei processi in cui l’AI può offrire un impatto rapido, come l’ottimizzazione dell’IT operations. Nel 2025, molte imprese indirizzeranno gli investimenti proprio verso la gestione e la manutenzione dei sistemi IT, che appare come un crocevia di numerose iniziative correlate alla sicurezza, all’efficientamento dell’infrastruttura e all’affidabilità dei servizi. Se un’azienda riesce a monitorare in tempo reale le performance dei propri server e a prevedere in anticipo i guasti, questo si traduce in un consistente risparmio sui tempi di inattività e in una maggiore continuità di servizio, fattori importanti per la reputazione e la crescita.


ROI dell’Intelligenza Artificiale: fattori chiave, rischi e strategie vincenti: modelli AI di successo

La ricerca conferma che l’adozione di modelli open-source può portare benefici significativi, ma richiede un’organizzazione molto consapevole del proprio ecosistema digitale. Le realtà che hanno registrato ROI positivi già nel 2024, spesso combinano una struttura interna preparata su data science, un supporto manageriale che comprende le sfide tecniche e un solido impianto di data governance. L’incremento dell’investimento in AI programmato per il 2025 lascia ipotizzare che queste aziende rafforzeranno ulteriormente i propri strumenti, magari puntando su modelli più sofisticati di machine learning e su strumenti di cloud managed services per semplificare la gestione del ciclo di vita dei progetti.


Le imprese che hanno difficoltà a raggiungere un ROI positivo, invece, spesso si trovano a fronteggiare un’incertezza su come misurare concretamente i benefici delle nuove applicazioni. Pur avendo una strategia, non sempre riescono a definire KPI uniformi, e talvolta confondono l’idea di innovazione con l’idea di semplice sperimentazione tecnologica senza uno scopo di business definito. Ecco perché solo un quarto di chi non raggiunge ROI positivo prevede di ottenerlo entro un anno. Il resto ipotizza di avere bisogno di un periodo più lungo, da uno a tre anni o oltre, a seconda del grado di maturità dei progetti e del contesto aziendale.


Per imprenditori e dirigenti, l’interpretazione di tali dati suggerisce la necessità di agire su più livelli: dall’allineamento dell’AI con gli obiettivi di business alla gestione di un team competente, dalla cura della qualità dei dati alla creazione di una cultura aziendale che favorisca l’adozione. Non a caso, i partecipanti allo studio considerano “business value/vision” come il fattore di impatto più importante per il ROI, con una percentuale di preferenze superiore al 30%. Significa che prima di investire si dovrebbe capire quali problemi l’AI può concretamente risolvere, e che l’aspetto tecnologico deve rientrare in una strategia di sviluppo più ampia e condivisa.


Un esempio chiarificatore è quello di un’azienda manifatturiera che desidera introdurre sistemi di monitoraggio AI per anticipare difetti di linea e ridurre gli sprechi: qui la visione di business è ben definita (diminuire le inefficienze), il team IT lavora in sinergia con la produzione, i dati raccolti dai sensori sono costantemente puliti e aggiornati e il management è coinvolto nel tradurre i risultati in decisioni operative. L’implementazione open-source può dare un vantaggio di velocità e personalizzazione del modello, ma necessita di competenze di sicurezza informatica e di un framework di governance che assicuri la tracciabilità delle modifiche al codice.


La sfida che attende chi vuole implementare soluzioni AI su larga scala riguarda, quindi, la capacità di evitare progetti isolati e svincolati dal contesto aziendale. Se l’AI viene introdotta come uno strumento complementare, sostenuto da processi di gestione e da obiettivi ben delineati, produce effetti concreti e misurabili. Se invece viene percepita come un progetto sperimentale senza prospettive di reale trasformazione operativa, rischia di rallentare e non restituire alcun valore tangibile. In questo senso, la ricerca risulta particolarmente rilevante, perché fornisce dati empirici su come le organizzazioni di vari Paesi stiano gestendo la transizione verso un’adozione matura dell’AI, con un occhio di riguardo ai parametri di efficienza e redditività.


Per i responsabili tecnici, il documento sottolinea l'importanza di dedicare tempo all'acquisizione di competenze nell'integrazione e nel mantenimento dei modelli di intelligenza artificiale in produzione, oltre che nella gestione efficace dei dati. In uno scenario che prevede l’avvio di numerosi progetti pilota ogni anno, la capacità di trasformarli in soluzioni operative rappresenta il fattore decisivo tra chi riesce a ottenere risultati concreti e chi accumula iniziative senza raggiungere obiettivi significativi. In questo contesto, l’open-source assume il ruolo di acceleratore, ma richiede un approccio strutturato per evitare la dispersione di risorse e strumenti.


Conclusioni

I risultati dello studio ROI dell’Intelligenza Artificiale mostrano un’industria in pieno fermento, in cui l’AI risulta sempre più cruciale per affrontare la complessità del mercato e migliorare processi e servizi. L’ampia partecipazione di ITDMs provenienti da dodici Paesi consente di tracciare un quadro variegato, dove emerge il ruolo crescente di metriche come la produttività e la rapidità di sviluppo, più che il mero risparmio economico. Pur essendo numerose le imprese che non hanno ancora raggiunto una redditività misurabile, la maggior parte è propensa ad aumentare gli investimenti, segnale di fiducia nelle potenzialità dell’intelligenza artificiale.

Le implicazioni strategiche per il mondo imprenditoriale si possono leggere confrontando i risultati con tecnologie già presenti sul mercato. Molte soluzioni di analytics tradizionale, ad esempio, offrono funzionalità di elaborazione dati, ma non sempre garantiscono la stessa elasticità dell’AI nel rilevare pattern complessi. Altre piattaforme di automazione possono contribuire all’efficientamento, ma non possiedono capacità predittive o cognitive. L’AI, invece, se ben integrata e alimentata da dati puliti, permette di migliorare notevolmente la sinergia fra i reparti, anticipare guasti e ridurre i costi di test.


Per i dirigenti, una prospettiva inedita sta nel riflettere su come l’AI possa diventare un collante tra le diverse anime aziendali, agevolando sperimentazioni veloci e cicli di feedback continui. La necessità di assumere talenti specializzati e di potenziare i sistemi di governance appare come una priorità che si aggiunge alle scelte di partnership con fornitori di cloud managed services o piattaforme open-source. Alla luce di ciò, il mondo delle imprese si trova di fronte a un bivio: investire in modo integrato, combinando obiettivi di breve periodo con una visione a lungo termine, oppure procedere in ordine sparso, rischiando di non riuscire a tradurre in opportunità i vantaggi potenziali dell’AI.


L’analisi dei dati del 2024 suggerisce che chi ha già una cultura tecnologica avanzata beneficia di un vantaggio competitivo, specialmente nelle grandi organizzazioni e in aree geografiche dove la base di competenze AI si è consolidata più rapidamente. Tuttavia, le barriere legate alla qualità dei dati e alle integrazioni con i sistemi esistenti rappresentano un freno, esattamente come la difficoltà di comunicare il valore dell’AI ai livelli esecutivi e ai dipendenti. Da ciò discende la raccomandazione di costruire un percorso di trasformazione graduale ma solido, tenendo presente che la sola potenza dell’algoritmo non basta se non si definiscono strategie, responsabilità e strumenti di misurazione adeguati.


In ultima analisi, la prospettiva per i manager è quella di compiere scelte realistiche, partendo dai casi d’uso che assicurano una resa concreta e pianificando in modo metodico la formazione interna e i piani di assunzione, così da sostenere la crescita della cultura AI nel tempo. Senza toni enfatici, si può affermare che l’intelligenza artificiale è un asset tecnologico che, opportunamente governato, può mettere radici solide nelle organizzazioni, spingendo verso una maggiore resilienza e una capacità di trasformarsi di fronte alle nuove sfide di mercato.


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