“The rationality wars: a personal reflection” di Gerd Gigerenzer (MaxPlanck Institute for Human Development, Berlin, Germany), con riferimenti ai lavori di Daniel Kahneman e Amos Tversky, coinvolge istituzioni accademiche di spicco nel campo delle scienze sociali e psicologiche. La ricerca esplora la tensione tra modelli di razionalità logica e programmi alternativi basati su euristiche e contesti ambientali. La tematica generale riguarda la natura della razionalità umana nell’economia, nella psicologia cognitiva e nelle politiche pubbliche, analizzando critiche, interpretazioni normative, effetti cognitivi e prospettive su incertezza e complessità decisionale.
La razionalità logica tra Guerra Fredda e modelli economici
Negli anni della Guerra Fredda si radicò l’idea della razionalità logica come fondamento per interpretare e prescrivere il comportamento umano in situazioni strategiche. L’economia e le scienze sociali adottarono come base il paradigma della massimizzazione dell’utilità attesa, arricchito da assiomi di coerenza interna e dal ricorso alla probabilità bayesiana come strumento per gestire decisioni lineari e contesti noti. Tale impostazione era motivata dal desiderio di preservare l’ordine mondiale dal rischio di disastri bellici, introducendo l’ambizione di prevedere e vincolare le scelte di governanti e popolazioni. Tuttavia, si trattava di una visione circoscritta a piccoli mondi ben definiti e facilmente calcolabili. Quando la comunità scientifica, a partire dagli anni ’70, mise alla prova questa impostazione, emergendo con l’idea che le persone commettessero sistematicamente errori, le critiche furono interpretate come prova di una limitata capacità umana di ragionare secondo logica.
Un famoso studio del 1974 sull’uso di euristiche e bias nelle decisioni ottenne oltre 15000 citazioni, oscurando lavori precedenti che dipingevano individui come buoni intuitivi statistici e segnalando come il dibattito venisse influenzato dal richiamo mediatico. Questo fenomeno portò a vedere la razionalità logica non come semplice modello utile, ma come norma universale, ignorando i limiti di validità nelle situazioni di incertezza. Diventava necessario interrogarsi su ciò che rende una strategia decisionale davvero efficace quando non si dispone di tutti i dati né di tempo infinito per calcolare soluzioni ottimali.
Dall’irrazionalità apparente alle ricerche sui bias cognitivi
L’emergere del cosiddetto programma euristiche-e-biass spinse a considerare le deviazioni dagli standard logici come segnali di difetti cognitivi intrinseci. La rappresentazione della mente umana come entità fallace, incline a giudizi distorti, favorì l’idea di una psicologia dell’irrazionalità. Alcune istituzioni, governi e imprese colsero l’occasione per giustificare interventi paternalistici, sostenendo che la collettività non sapesse gestire correttamente rischi, probabilità e scelte complesse. Tuttavia, l’indagine critica di questi risultati ha mostrato l’assenza di prove concrete che colleghino tali bias a reali conseguenze materiali e danni tangibili. Non vi è evidenza, ad esempio, che la violazione di assiomi logici produca sistematicamente perdite economiche o peggiori esiti di salute. Inoltre, molte presunte distorsioni non si replicarono in contesti sperimentali differenti.
Un’accurata analisi rivela che i partecipanti ai test iniziali spesso non avevano l’opportunità di imparare dall’esperienza o di interagire con problemi reali, ma venivano esposti a quesiti ipotetici di breve durata. Questo cambio di metodologia, dall’esplorazione attiva della casualità al semplice questionario astratto, finì con il generare impressioni distorte. Ciò dimostra come la cosiddetta irrazionalità dipenda dal contesto, dal tempo concesso e dalla natura delle informazioni. Quando si concede spazio per comprendere frequenze, insiemi di casi e situazioni in cui sperimentare i dati, la capacità umana di ragionare in modo coerente migliora sensibilmente.
La razionalità ecologica e le euristiche come strumenti adattivi
Emersero in seguito correnti che respinsero l’interpretazione di queste deviazioni come fallacie, proponendo la nozione di razionalità ecologica. Tale approccio, ispirato anche alle idee di Herbert Simon, valorizza l’uso di euristiche semplici, definite in modo algoritmico, per prendere decisioni funzionali in ambienti incerti e complessi. Queste strategie non aspirano all’ottimalità astratta, ma puntano a risultati sufficientemente buoni in tempi ridotti, sfruttando la struttura stessa del contesto. La riduzione dell’informazione e la semplificazione non sono difetti, bensì strumenti per adattarsi a problemi concreti. In alcune circostanze, l’eccesso di dati e il ricorso a modelli matematici complessi non migliorano la precisione, mentre euristiche semplici possono risultare più robuste.
L’analisi ha mostrato che in ambienti non stabili, con cambiamenti repentini, le strategie ecologiche riescono talvolta a superare algoritmi sofisticati. L’adozione di tecniche come gli alberi decisionali veloci e parsimoniosi, applicati in finanza o in ambito sanitario, ne è un esempio concreto. In un caso di formazione destinata a medici, bastò un’ora di istruzione in forma intuitiva per rendere comprensibile a quasi tutti la corretta interpretazione di risultati diagnostici precedentemente fraintesi. Ciò indica che l’istruzione mirata e la consapevolezza del contesto ambientale possono colmare il divario tra ideali logici e pratiche decisionali realistiche.
Dilemmi pratici tra nudging, contesto reale e superamento dei modelli astratti
Nel corso del dibattito, alcuni studiosi proposero di migliorare le scelte delle persone intervenendo sull’“architettura delle decisioni”, ossia organizzando il contesto in modo da favorire comportamenti considerati migliori. Questa idea, nota come nudging, mirava a ottenere risultati positivi semplicemente modificando opzioni predefinite o suggerendo scelte ritenute più vantaggiose. Tuttavia, quando si sono rivisti i dati tenendo conto che gli studi con risultati positivi tendono a essere pubblicati più di quelli con risultati nulli o negativi (fenomeno noto come bias di pubblicazione), è emerso che i benefici del nudging erano in molti casi più limitati di quanto si pensasse inizialmente. Ad esempio, modificare le impostazioni standard per le donazioni di organi non sempre ha prodotto l’aumento effettivo dei trapianti che ci si sarebbe aspettati.
In molti casi, si agiva sui sintomi del problema, senza affrontare le cause strutturali che ostacolano decisioni più efficaci. A questo punto la discussione va oltre lo scontro tra modelli di razionalità logica ed errori sistematici, riconoscendo che il pensiero umano non è una macchina perfetta per calcolare probabilità, ma un sistema adattivo in grado di usare scorciatoie intelligenti quando serve. Questa visione evidenzia quanto i modelli rigidi e astratti differiscano dalla complessità della vita reale, dove l’incertezza non si risolve semplicemente con calcoli, ma richiede flessibilità, esperienza e comprensione del contesto.
Conclusioni
Nel complesso, la riflessione sul dibattito tra razionalità logica, bias cognitivi ed euristiche ecologiche offre una prospettiva strategica di grande importanza per dirigenti e imprenditori che si confrontano quotidianamente con mercati globali dinamici e imprevedibili. Rispetto allo stato dell’arte, nel quale gli strumenti avanzati di analisi dei dati cercano di simulare l’onniscienza e l’ottimalità, le proposte di razionalità ecologica suggeriscono di concentrarsi sulla flessibilità e sull’adattabilità, piuttosto che sulla pretesa di perfezione matematica. L’uso di euristiche semplici non è un ritorno al passato, ma un riconoscimento della necessità di operare in condizioni nelle quali non tutte le variabili sono note e dove la rapidità dell’azione risulta decisiva.
Questo contrasta con approcci che enfatizzano il controllo paternalistico del comportamento attraverso spinte invisibili, tecnologie di predizione o strutture di incentivo statiche. Gli imprenditori e i manager, di fronte alle sfide della digitalizzazione e della complessità economica, possono trovare nelle riflessioni sulla razionalità ecologica una guida per combinare analisi quantitative con intuizioni robuste, creare sistemi di formazione più efficaci e valorizzare la conoscenza tacita del proprio team. In un mondo senza certezze definitive, la vera lungimiranza non è cercare di domare l’incertezza con formule inattaccabili, ma imparare a navigarla con strategie duttili e comprensibili.
L’attenzione per il contesto, per l’apprendimento continuo e per la selezione di strumenti cognitivi adatti alla realtà contingente offre un nuovo terreno di sviluppo per politiche aziendali e decisionali più consapevoli, pragmatiche e attente alla complessità. L’insieme di queste riflessioni può rappresentare un approccio maturo alle sfide future, differenziandosi dai semplici dogmi e aprendosi a una comprensione più profonda dell’agire razionale in condizioni reali.
Comments