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Immagine del redattoreAndrea Viliotti

Ipsos Global Trends 2024: Analisi delle tensioni tra incertezze globali e individualismo

"In Search of a New Consensus: from Tension to Intention”, la ricerca Ipsos Global Trends 2024 curata da Ben Page, Jennifer Bender e Billie Ing, propone un’ampia analisi delle tendenze globali basata su oltre 50.000 interviste svolte in cinquanta mercati. Il rapporto indaga come le persone stiano reagendo alle trasformazioni in atto – da quelle geopolitiche fino alle dinamiche interpersonali e individuali – evidenziando nove tendenze chiave che mostrano tensioni radicate, ma anche spinte verso nuovi equilibri socioeconomici.

Ipsos Global Trends 2024
Ipsos Global Trends 2024: Analisi delle tensioni tra incertezze globali e individualismo

Ipsos Global Trends 2024: globalizzazione tra fratture e cooperazione

Oltre cinquantamila persone, distribuite in cinquanta mercati rappresentativi di tre quarti della popolazione mondiale e del 90% del PIL complessivo, hanno espresso un’opinione sorprendentemente più aperta verso la globalizzazione rispetto al passato, sebbene il clima generale appaia a tratti ostile. Si riscontra, infatti, un consenso in crescita sul fatto che l’interconnessione economica abbia prodotto numerosi benefici. Una percentuale intorno al 60% ritiene che la globalizzazione sia positiva per il proprio Paese e, parallelamente, altrettanti credono che generi ricadute benefiche anche a livello personale. È interessante notare come i risultati siano particolarmente elevati nelle economie emergenti di Africa e Asia, con Paesi come Cina e Indonesia che dimostrano un entusiasmo elevato per i vantaggi commerciali e culturali dell’essere parte di un ecosistema globale.


Il paradosso, però, è che questo sentimento coesiste con un rafforzamento del nazionalismo, alimentato da istanze di protezione dei mercati locali e da una più marcata attenzione alle questioni di sicurezza e sovranità. Secondo i dati raccolti, attorno al 63% degli intervistati si dichiara orgoglioso del proprio Paese e vede nell’autoaffermazione nazionale un valore chiave, specialmente nei momenti di crisi. Queste convinzioni apparentemente opposte – da un lato la fiducia nella globalizzazione, dall’altro l’orgoglio nazionale – possono convivere nel medesimo individuo, sottolineando l’esigenza di trovare strategie comunicative e operative che bilancino cooperazione e rivalutazione delle specificità locali.


Questo quadro composito è influenzato da diversi fattori macroscopici, come l’andamento altalenante della classe media e l’incertezza politica dovuta a tensioni internazionali, migrazioni su larga scala e politiche commerciali più protezionistiche. L’aumento degli investimenti in tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale applicata alla supply chain, sta favorendo fenomeni di “derisking”: molte aziende stanno diversificando la produzione dal modello “China-only” verso un approccio “China+1” che contempla un secondo Paese produttore o ulteriori nodi regionali.


È come se fossimo di fronte a uno spartito suonato da un’orchestra dove ogni musicista esegue un pezzo in sincronia con gli altri, ma ognuno preserva la propria individualità. Molte nazioni mantengono connessioni globali, tuttavia un numero crescente di governi promuove l’idea che si debba insistere sulle caratteristiche culturali e sull’autonomia strategica. Allo stesso tempo, l’insieme dei consumatori – e dei futuri talenti lavorativi – non chiede di sospendere la cooperazione globale, bensì di modularla su basi più eque e meno rischiose.


In questo contesto, i brand globali hanno il compito di mostrarsi, da un lato, fortemente legati alle comunità locali e, dall’altro, di capitalizzare i vantaggi offerti dalla propria dimensione estesa. Un’azienda che vuol restare competitiva, oggi, deve comprendere queste tensioni ed evitare di adottare un unico linguaggio. Affinché un marchio risulti credibile in diversi mercati, è necessario saper presentare offerte su misura, in linea con le richieste di localizzazione emerse proprio nei dati Ipsos. Per esempio, molte imprese alimentari producono linee “limited edition” riservate a una regione o a una singola città, come dimostra la scelta di un grande gruppo multinazionale di lanciare in Brasile un cioccolato con denominazione tipica locale, mentre, in Cina, una nota catena di caffetterie ha aperto store ispirati a tradizioni gastronomiche autoctone.


Si potrebbe pensare a una qualche contraddizione di fondo tra la richiesta di tutela delle identità nazionali e l’accettazione, seppur in crescita, della globalizzazione. Tuttavia, l’osservazione approfondita rivela come molte persone, soprattutto nei Paesi a reddito medio-basso, abbiano sperimentato benefici tangibili dati dall’arrivo di investimenti e prodotti stranieri, vedendo così migliorare la propria condizione economica. Al contempo, in numerose realtà occidentali, una parte significativa della popolazione associa la parola “globalizzazione” alla delocalizzazione e alla perdita di posti di lavoro, da qui scaturisce un desiderio di maggiore tutela.


Emerge così un’attenzione costante alle politiche pubbliche. Buona parte dell’opinione pubblica vorrebbe una governance più regolatrice, per esempio stabilendo criteri equi di distribuzione dei vantaggi economici: l’80% degli intervistati pensa che le aziende con impatti significativi sull’ambiente debbano essere meglio controllate dai governi. Nonostante ciò, la stessa platea, in molti contesti nazionali, dichiara di riporre meno fiducia nelle istituzioni pubbliche rispetto al passato, ritenendo poco efficaci gli interventi politici nel tenere sotto controllo le disuguaglianze.


Le tensioni in corso influenzano, dunque, anche i modelli di business. In Europa è forte la pressione perché le imprese mettano in atto strategie di sostenibilità lungo tutta la filiera, così da coniugare le aspettative dei clienti più sensibili alle tematiche ambientali con i requisiti normativi sempre più stringenti. In Asia, diversamente, i giganti delle telecomunicazioni e della manifattura stanno puntando sull’innovazione locale per affermarsi e contemporaneamente competere all’estero. In entrambi i casi, la percezione è che la globalizzazione non sia sparita, anzi, ma appaia trasformata: una sorta di “mosaico” dove i singoli tasselli mantengono sempre più visibili le proprie forme, pur compiendo un disegno unitario.


Dalle analisi condotte si delinea un futuro di globalizzazione selettiva e di crescita dei “blocchi regionali” che inevitabilmente produrranno strategie manageriali complesse. Le aziende globali, in particolare, dovranno scegliere come posizionarsi in un quadro dove la soglia di accettazione delle catene di fornitura internazionali cambia di Paese in Paese, mentre le aziende locali, in rapida espansione, guadagnano vantaggi competitivi grazie a un miglior radicamento. Tuttavia, il rapporto Ipsos indica anche la possibilità di far leva sulle opportunità che nascono proprio dall’incrocio tra specializzazioni locali e asset globali, suggerendo di interpretare la domanda di vicinanza culturale come uno stimolo di innovazione.

 

Disuguaglianze e divisioni sociali nell’analisi Ipsos Global Trends 2024

Un tema centrale emerso con forza riguarda la percezione diffusa che le disuguaglianze economiche e sociali stiano deteriorando la coesione all’interno delle singole nazioni. In quest’edizione di Ipsos Global Trends, il 77% degli intervistati definisce “dannoso” per la società il divario di reddito, mentre quasi tre quarti ritengono l’economia “truccata” a favore dei più ricchi. Il divario non si limita agli aspetti di censo, ma tocca identità culturali, religiose e di genere, contribuendo a creare un senso di frammentazione.


Le migrazioni, elemento cruciale del quadro odierno, giocano un ruolo significativo nel definire queste tensioni. Da un lato, le società che stanno invecchiando potrebbero trarre beneficio da un flusso di popolazione giovane; dall’altro, la stessa maggioranza (71%) sostiene di essere d’accordo con l’idea che, in mancanza di posti di lavoro, si debba privilegiare l’occupazione dei cittadini locali rispetto agli immigrati. Ciò rivela un conflitto interiore: la consapevolezza di dover integrare la forza lavoro straniera contrasta con le paure di “fuga di opportunità” per i nativi.


Un esempio significativo di questa ambivalenza si ritrova nella percezione del fenomeno migratorio in Paesi giovani, dove l’età media della popolazione è bassa. In teoria, si tratta di contesti con poca manodopera specializzata, per cui un afflusso di immigrati qualificati potrebbe essere vantaggioso. Eppure, i dati dell’indagine mostrano che nelle realtà demograficamente giovani, come alcune aree dell’Africa e del Sud-Est asiatico, l’idea che “ci siano troppi immigrati” appare sorprendentemente comune. Questa apparente contraddizione si spiega con il timore che i nuovi arrivati comportino un aumento della competizione interna e che le risorse non bastino per tutti.


Sul piano geopolitico, il rapporto segnala come la convergenza di diverse forze (nazionalismi, populismi, crisi economiche, tensioni commerciali) possa alimentare conflitti. A ogni crisi emergono partiti o movimenti disposti a canalizzare le frustrazioni dei cittadini, rafforzando contrapposizioni già esistenti. La percezione di frammentazione si manifesta pure in ambito privato: metà degli intervistati nota un aumento di conflitti di opinione all’interno delle proprie famiglie. Questo spaccato rende bene l’idea che la polarizzazione non sia più soltanto un “problema degli altri” o relegato ai social network, ma entri nelle relazioni più strette.


L’indagine Ipsos registra, inoltre, una richiesta esplicita di maggiore responsabilità sociale da parte delle aziende. Il 76% del campione ritiene che le imprese debbano agire con più coraggio nel ridurre le disparità o nel sostenere cause di interesse collettivo. Eppure, circa la metà delle persone dichiara di non prestare attenzione all’impegno etico di un brand, sebbene riconosca che tale impegno dovrebbe esistere. In pratica, sussiste una forte aspettativa di “buona condotta”, ma nell’atto concreto di acquisto prevalgono spesso criteri di costo e qualità del prodotto. Ciò non deve però trarre in inganno: nelle fasce più istruite e abbienti, la coerenza sociale delle imprese diventa un discrimine importante.


L’analisi sulle fratture sociali tocca anche il delicato tema delle ideologie di genere e dei modelli familiari. Se la maggior parte dei rispondenti considera “naturale” l’avanzamento dei diritti civili, un buon 39% crede ancora che la principale funzione della donna sia quella di moglie e madre. Il dato, pur variando molto fra Paesi (si passa dall’82% in alcune regioni al 13% in altre), segnala un asse divisivo su questioni apparentemente superate, ma in realtà ancora attuali, soprattutto laddove permangono strutture tradizionali o religiose molto forti.

Questo spazio tematico, che Ipsos chiama Splintered Societies, alimenta anche un fenomeno di “cerca e fuggi” nelle dinamiche politiche: si osserva una richiesta crescente di protezione (contro le ingiustizie, contro l’immigrazione percepita come eccessiva o contro la concorrenza globale) e, al contempo, monta la disillusione verso partiti tradizionali. Le aziende si ritrovano così in una posizione di potenziale leadership, dove, se agiscono in modo coerente con i bisogni della comunità, possono ricoprire il vuoto lasciato da governi ritenuti lenti o inefficienti.


Sul fronte delle opportunità, il rapporto evidenzia l’esistenza di nicchie di mercato dedicate a servizi per migranti, iniziative di microcredito, forme di comunicazione interculturale e piattaforme che connettono gruppi minoritari. Aziende, ONG e Pubblica Amministrazione, collaborando, possono mitigare le tensioni e, al contempo, sviluppare soluzioni innovative. Un esempio concreto proviene dall’Olanda, dove un’organizzazione non profit recluta e forma rifugiati come tecnici per accelerare la transizione energetica, colmando un deficit di manodopera qualificata. Allo stesso modo, in Spagna è sorto un servizio bancario pensato apposta per immigrati con documenti diversi da quelli comunemente richiesti.


Per gli imprenditori e i dirigenti aziendali che mirano a progettare una crescita stabile, la comprensione di queste divisioni interne alle società è essenziale. Il rapporto Ipsos suggerisce che, per mantenere un rapporto saldo con un pubblico differenziato, i brand dovrebbero enfatizzare valori comuni – per esempio l’attenzione concreta alla sostenibilità o alla formazione dei giovani – e al tempo stesso essere consci dei rischi che scelte esplicite e divisive possono comportare. Alcuni marchi, operando su scala globale, si trovano a dover elaborare messaggi diversi per Paesi diversi, bilanciando il rispetto delle differenze con la capacità di ispirare un “valore condiviso”.


In conclusione, la “frammentazione sociale” non è un destino inevitabile: la tecnologia e i modelli di business possono gettare ponti, a patto che ci sia la consapevolezza di queste tensioni. Resta però cruciale anticipare i bisogni di quei segmenti di popolazione che si percepiscono come esclusi, pena il rischio di alimentare ulteriormente sentimenti di sfiducia e insoddisfazione. La questione non si risolve con proclami: è la dimostrazione concreta di un impatto positivo a poter ricucire, almeno in parte, gli strappi nel tessuto sociale.


Clima, tecnologia e salute: le sfide globali nel report Ipsos Global Trends 2024

Le problematiche ambientali si posizionano al centro di una convergenza di fattori. Ormai l’80% delle persone intervistate ritiene che si rischi il disastro ambientale se non si cambia rotta in modo rapido. È un dato relativamente uniforme nei Paesi esaminati, segno che il negazionismo climatico ha perso terreno. Quello che differisce è l’approccio alle soluzioni: se in Asia e in alcune economie europee esiste una maggiore propensione a usare l’auto elettrica o a sottostare a nuove regole per la riduzione della CO2, in altre aree il pragmatismo lascia spazio a scetticismi. Per esempio, meno del 40% della popolazione statunitense e tedesca si dice convinto che la diffusione di veicoli elettrici sia una priorità.

Un altro aspetto cruciale risiede nella percezione dello sforzo individuale: il 72% degli intervistati dichiara di fare già “il possibile” per il clima. Al contempo, oltre tre quarti pensano che le imprese non stiano facendo abbastanza. Tale squilibrio evidenzia una distanza notevole fra l’impegno che le persone percepiscono come proprio e l’impegno che si aspettano da aziende e governi. In altre parole, c’è un diffuso fatalismo: i cittadini si sentono impotenti e chiedono leadership in grado di pilotare il processo di decarbonizzazione.


La sfida climatica si interseca, poi, con la grande trasformazione tecnologica. Da un lato, il 71% pensa che soltanto la tecnologia moderna potrà risolvere i problemi futuri; dall’altro, il 57% teme che il progresso tecnico stia “distruggendo la nostra vita”. L’ampia disponibilità di soluzioni digitali e la potenza dei dispositivi basati sull’intelligenza artificiale generano speranze – come nel caso di applicazioni sanitarie o nelle ricerche sul calcolo quantistico – ma anche preoccupazioni legate alla perdita di posti di lavoro e alla gestione dei dati personali. Un punto interessante riguarda proprio la gestione dei dati: il 73% ammette di essere preoccupato da come governi e aziende utilizzano le informazioni raccolte, mentre il 78% pensa che la riduzione della privacy sia inevitabile. Eppure, la maggior parte delle persone continua a fare uso quotidiano di strumenti digitali. Questa discrepanza tra preoccupazione e uso concreto è un esempio di “fatalismo tecnologico” ormai radicato.

Alla crescente pervasività tecnologica si aggiunge un’accentuazione del concetto di salute olistica. Il rapporto Ipsos mette in luce che oltre l’80% della popolazione mondiale avverte il bisogno di prendersi più cura del proprio benessere fisico, ma quasi la stessa percentuale (81%) sottolinea anche l’urgenza di salvaguardare la salute mentale. Per capire la portata di questo fenomeno, basti pensare che, se un tempo la priorità era prevalentemente la salute fisica, ora le due dimensioni viaggiano parallelamente.


L’uso di dispositivi o app per il monitoraggio del sonno, dei parametri vitali e delle calorie consumate appare in ascesa. Non a caso, il 69% delle persone dichiara di non fare più esclusivo affidamento sul parere medico, ma di cercare attivamente informazioni, talvolta su internet, talvolta in gruppi di mutuo aiuto. Questo coinvolge specialmente i Paesi in cui l’accesso al medico non è immediato, come in alcune zone dell’Africa e dell’Asia, ma è molto visibile anche in mercati con servizi sanitari evoluti, a testimonianza di una voglia di autonomia decisionale.


Un tema collaterale è quello dell’invecchiamento demografico: l’aspettativa di vivere fino a 100 anni supera spesso le reali statistiche nazionali. Tale visione ottimistica (diffusa specialmente in Asia e Africa) si scontra, però, con la realtà di sistemi sanitari che non sempre garantiscono equità e continuità di cure. Chi può, ricorre a terapie innovative, come i farmaci GLP-1 (per il controllo del peso e per il trattamento del diabete), ma rimane il dubbio sulla disponibilità di tali cure per chi non gode di risorse adeguate.


L’insieme di questi elementi – questione ambientale, trasformazioni tecnologiche e attenzione alla salute mentale e fisica – evidenzia un’ampia “cassetta di strumenti” per aziende e amministrazioni pubbliche. Da un lato, la sfera della sostenibilità, soprattutto per i brand che vogliono dimostrarsi responsabili; dall’altro, gli spazi aperti dalla digitalizzazione dei servizi sanitari, dalla telemedicina alle terapie digitali per disturbi d’ansia o depressione. E non è tutto: la potenza di calcolo delle nuove infrastrutture può accelerare la ricerca biomedica, come dimostrano gli studi condotti, con l’ausilio dell’AI generativa, nell’individuazione di antibiotici efficaci.


In parallelo, occorre considerare la problematica del lavoro che cambia: l’impiego di algoritmi sempre più sofisticati può sostituire alcune mansioni, sollevando interrogativi su come riformare i sistemi di welfare, formazione e tutela del lavoratore. Non sorprende che alcune delle imprese leader nel settore AI abbiano formato consorzi per studiare l’impatto dell’automazione sui posti di lavoro. Gli intervistati temono di perdere il controllo, non solo per la privacy, ma anche per la stabilità economica.


Alla luce di questi dati, è comprensibile la diffusa convinzione (oltre il 60%) di sentirsi “sopraffatti” da una mole enorme di scelte. Per dirigenti e imprenditori, ciò si traduce in una duplice sfida: da un lato, alleggerire la complessità offrendo soluzioni e servizi di facile utilizzo; dall’altro, rassicurare sul fatto che la tecnologia possa migliorare la qualità della vita. Esemplare il caso di nuovi motori di ricerca “green” che calcolano l’impatto ambientale, o di progetti per rendere la rete Internet più efficiente sotto il profilo energetico.


In definitiva, l’analisi combinata di clima, tecnologia e salute disegna un futuro ricco di responsabilità, dove gli sforzi devono necessariamente confluire in una direzione integrata. Solo un’azione condivisa fra governi, imprese e singoli cittadini potrà contrastare i rischi ambientali, mettere a frutto il potenziale dell’innovazione tecnologica e al contempo garantire l’accesso alle cure in un mondo sempre più anziano. La richiesta di governance solida e la necessità di un cambio di paradigma nell’approccio ai problemi collettivi non sono più rinviabili.


Tradizione e individualismo nel 2024 secondo Ipsos Global Trends

Se da una parte emergono tensioni globali che sembrano nuove, dall’altra si rileva un ritorno a forme di “nostalgia” e a vecchi schemi: circa il 57% delle persone vorrebbe che il proprio Paese fosse “come una volta”. Il fenomeno si manifesta in nazioni industrializzate come in altre in via di sviluppo, con motivazioni che variano dal desiderio di stabilità economica al richiamo di valori religiosi o familiari. Eppure, quando si chiede a chi risponde se preferirebbe vivere nell’epoca dei propri genitori, il dato scende al 46%, segno che il passato viene idealizzato più a livello collettivo che personale.


Tale desiderio di passato s’intreccia con una sorta di tradizionalismo che abbraccia i ruoli di genere e il ripristino di gerarchie consolidate. Per alcuni segmenti di popolazione, soprattutto giovani in nazioni a reddito più basso, il richiamo a sistemi ritenuti “moralmente solidi” rappresenta una reazione alle ansie del presente. Pensiamo ai cosiddetti “tradwives”, un fenomeno veicolato in parte dai social network, che propone una versione romantizzata delle dinamiche familiari tradizionali, rigettando il caos moderno.


Non a caso, gli stessi canali social, che pure sono il simbolo dell’innovazione digitale, diventano strumenti per diffondere modelli ispirati al passato. Questo mix fra slancio tecnologico e miti restaurativi è emblematico della complessità attuale. Per i brand, la nostalgia e il riferimento a tradizioni locali possono costituire un veicolo potente di marketing: la riproposizione di stili vintage, l’apertura di store con richiami all’artigianato, persino il lancio di “edizioni limitate” che evocano momenti simbolo della storia del Paese. Al tempo stesso, il rapporto segnala che non tutti “desiderano tornare indietro”; esiste un 44% di persone che non rimpiange il passato in nessun aspetto.


Il tema si collega al più vasto processo di individualismo in crescita. Quest’ultimo, come evidenzia Ipsos Global Trends, non riguarda esclusivamente la sfera occidentale: in Africa, Asia e America Latina, la possibilità di autodeterminarsi e scegliere il proprio destino professionale e personale costituisce un vero e proprio “status symbol”. Tra i valori centrali c’è l’autonomia: il 79% concorda sul fatto che ciascuno debba stabilire da solo i propri principi guida. L’individualismo, però, assume molte forme: vi è chi punta sul “successo di carriera” come fulcro dell’identità, mentre altri rivendicano la necessità di “semplificare” la vita, liberandosi dalle pressioni sociali.


Su quest’ultimo fronte, il 61% ammette di sentirsi “sopraffatto” dall’abbondanza di scelte e possibilità. Nel tentativo di reagire, alcuni cercano di ridurre il superfluo e tornare a ritmi più lenti (cosiddetto “soft life”), mentre altri si rifugiano in esperienze estreme o nella scelta di consumi che li definiscano agli occhi del mondo (si pensi all’attenzione al brand come elemento d’identità). In ogni caso, la dimensione individuale appare più forte che in passato: mentre anni fa si dava per scontato che la vita fosse scandita da tappe (matrimonio, figli, lavoro fisso), ora si moltiplicano percorsi esistenziali molto diversi, spesso spinti da una sorta di “nomadismo lavorativo” e dal fenomeno YOLO (you only live once).


Quest’ultimo si collega a un sentimento di “nihilismo” che Ipsos ha definito “Nouveau Nihilism”: la convinzione che, fra crisi climatiche, guerra e precarietà economica, l’unica certezza sia godersi il presente. Il 64% afferma: “vivo per oggi perché il futuro è incerto”. Se da un lato ciò alimenta comportamenti dispendiosi, come ricorrere al “buy now, pay later” senza preoccuparsi dei debiti, dall’altro riflette un diffuso fatalismo secondo cui i problemi globali siano troppo grandi per le possibilità dei singoli.

Il quadro che emerge è multiforme: la spinta al ritorno dei valori antichi si mescola con la celebrazione dell’autonomia individuale e con l’ansia di realizzare sé stessi il più in fretta possibile, come a voler “fregare il destino”. Questo cocktail di tradizione e ipermodernità si traduce in mercati e segmenti di pubblico estremamente diversificati, che un’impresa o un’istituzione lungimirante dovrebbe saper interpretare.


Alcune aziende scelgono di puntare sulla leva nostalgica, lanciando prodotti che evocano epoche passate; altre preferiscono assecondare il bisogno di personalizzazione estrema, offrendo prodotti o servizi che possano essere customizzati a piacere, come ad esempio i pacchetti di viaggio “su misura” o le linee di moda ibride fra stile antico e contaminazioni futuristiche. In ogni caso, la lezione che Ipsos ci suggerisce è di non etichettare la popolazione come un blocco unitario, bensì di riconoscere la coesistenza di spinte contrastanti – tra voglia di comunità e desiderio di libertà totale, fra rimpianto per un presunto passato armonioso e slancio verso un futuro tutto da inventare.


Fiducia e consumi nel 2024: insight da Ipsos Global Trends

Nell’oceano di informazioni che caratterizza la quotidianità, la fiducia diventa merce preziosa. Il 71% delle persone ritiene che la tecnologia servirà a risolvere i problemi di domani, ma nello stesso tempo esprime dubbi sull’affidabilità delle aziende che la gestiscono. Più in generale, si riscontra la tendenza a consultare più fonti prima di compiere un acquisto e a incrociare recensioni sui social. Questo fenomeno – definito da Ipsos come “Informed Consumerism” – porta il consumatore medio a dedicare più tempo alla ricerca di informazioni sul prodotto che intende comprare, alla comparazione dei prezzi e all’analisi dell’impegno del brand su temi etici.


Allo stesso tempo, cresce la riconoscibilità dei marchi storici o che vantano un’ampia presenza geografica: l’80% ammette di fidarsi di più di un nuovo prodotto se proviene da un brand conosciuto. Tuttavia, solo il 55% si dice disposto a pagare di più per un marchio dalla “bella immagine”. I dati testimoniano dunque un consumatore particolarmente pragmatico: la reputazione del marchio resta importante, ma la vera fedeltà dipende in larga parte dal rapporto qualità-prezzo.


Un ulteriore, decisivo fattore è l’esperienza cliente: il 63% si dichiara disposto a spendere maggiormente se ottiene un servizio clienti migliore. Eppure, tre quarti degli intervistati (75%) avvertono che i servizi di assistenza siano diventati eccessivamente automatizzati, con processi impersonali e chat bot che non risolvono le esigenze reali. Questa frustrazione crea opportunità di differenziazione: le aziende che riescono a modulare l’equilibrio tra le tecnologie e il contatto umano possono ottenere un notevole vantaggio competitivo. In questa direzione si stanno muovendo molte imprese che introducono, per esempio, un doppio canale: automatizzato per le richieste standard e con operatori in carne e ossa per la gestione di problemi complessi o reclami.


Ciò che emerge con forza è il desiderio di trasparenza. I consumatori vogliono sapere come vengono prodotti i beni, dove finiscono i loro dati, in che modo l’azienda gestisce le questioni ambientali. Sempre più spesso la valutazione si estende all’intera catena del valore, dalle materie prime al packaging, fino alle modalità di consegna. E sebbene molti acquirenti siano pragmatici, si nota un ampliamento di una fascia di clientela pronta a passare a competitor considerati più etici o sostenibili.


C’è poi un paradosso: da un lato, sale il numero di persone che afferma di acquistare brand in linea con i propri valori; dall’altro, la stessa persona può dichiarare che “se il prodotto è buono, non mi interessa quanto sia etico il produttore”. In questa dinamica di apparenti contrasti, trovare la strategia ottimale implica considerare sfaccettature diverse per segmenti differenti, anche nello stesso Paese. Significa, per esempio, veicolare informazioni dettagliate sulla sostenibilità per chi le ritiene cruciali, ma al contempo offrire un prezzo competitivo per chi è più focalizzato sul costo.


Nell’indagine Ipsos, inoltre, si constata che nel decennio 2013-2024 i consumatori che comprano marchi in linea con i propri valori sono aumentati di 16 punti percentuali in mercati come l’Italia e l’Argentina, e di 20 punti negli Stati Uniti. È un cambiamento di rilievo: una porzione crescente di popolazione considera i brand come strumenti di auto-espressione, un modo per dichiarare pubblicamente l’appartenenza a certe idee o stili di vita. Analogamente, il “bandwagon effect” dei social può amplificare il successo (o il fallimento) di un prodotto in tempi rapidissimi.


Infine, la questione della fiducia si intreccia con l'argomento complesso delle regolamentazioni. Alcuni governi, per esempio nell’Unione Europea, hanno introdotto obblighi di trasparenza, come quello di segnalare le riduzioni di peso (shrinkflation) dei prodotti alimentari se i prezzi restano invariati. Il pubblico, incoraggiato da queste politiche, confronta i dati e giudica più severamente eventuali pratiche ritenute ingannevoli. Nei Paesi dove tali normative non sono in vigore, le aziende potrebbero trovarsi in bilico fra la necessità di ridurre costi e l’opportunità di mostrarsi proattive e comunicare onestà.


Il legame di fiducia fra consumatore e azienda non si costruisce più soltanto su un’immagine accattivante, ma su una serie di elementi tangibili: coerenza rispetto ai valori dichiarati, customer service di qualità, chiarezza sul trattamento dei dati e capacità di offrire soluzioni convenienti. Per imprenditori e manager, la parola d’ordine è “personalizzazione scalabile”: occorre parlare a target con esigenze anche contraddittorie, sfruttando i canali digitali senza trascurare l’empatia umana. E tutto ciò, inevitabilmente, impone un’ottica più lungimirante, poiché “fiducia” ed “esperienza” sono patrimoni costruiti nel tempo, difficili da recuperare una volta persi.


Conclusioni

La ricerca Ipsos Global Trends 2024 evidenzia molteplici tensioni che percorrono il mondo contemporaneo, delineando movimenti paralleli e spesso contrastanti. Da un lato, l’attenzione collettiva a sfide sistemiche come il cambiamento climatico, la disuguaglianza e la salute olistica; dall’altro, la spinta a concentrarsi sulle dimensioni più intime e gestibili della realtà, come l’autonomia individuale e la soddisfazione personale immediata. In un quadro di opinioni così variegate, imprese e organizzazioni non possono limitarsi a un’unica strategia uniforme: l’approccio vincente richiede adattabilità, chiarezza e riconoscimento delle differenze culturali.


Le tecnologie esistenti, comprese quelle di automazione e intelligenza artificiale, potenzialmente consentirebbero di strutturare servizi flessibili e personalizzabili. Al contempo, si riscontra un timore per l’uso improprio dei dati e per la possibile polarizzazione causata dagli algoritmi. Ciò richiama la responsabilità di chi opera nell’innovazione di costruire framework trasparenti e di vagliare con attenzione il rischio di peggiorare l’accessibilità dei servizi.


Dal confronto dei risultati con lo stato dell’arte di altri rapporti similari, si notano aree di sovrapposizione, per esempio sui timori ambientali condivisi a livello globale, ma Ipsos Global Trends offre un’angolatura ulteriore su valori come autonomia, nostalgia e ricerca di semplicità. Alcuni trend tecnologici già noti si intersecano con la sfera identitaria in modo originale, segnalando a imprenditori e manager che la reazione del pubblico a innovazioni emergenti può essere molto diversa dalla narrativa comunemente diffusa.

Sul piano delle imprese, ciò invita a una strategia differenziata per le diverse aree geografiche e i segmenti di consumatori, in modo da far percepire i propri prodotti e servizi come soluzioni a bisogni concreti, non come mere imposizioni del progresso. In particolare, la sfida di gestire le identità locali in un mercato globale competitivo spinge a integrazioni inedite tra modelli di business “glocal” e innovazioni ESG pensate per superare le normative ambientali sempre più stringenti.


La riflessione più profonda riguarda il possibile impatto a lungo termine di questi macrofenomeni. Se la frammentazione sociale e la sensazione di “perdita del futuro” (con generazioni che non riescono a mantenere standard di vita pari a quelli dei genitori) diventeranno più forti, ci si potrà attendere un ulteriore incremento dei populismi e dei protezionismi nazionali. Al contrario, se riusciremo a valorizzare gli elementi di cooperazione globale e a offrire politiche e prodotti capaci di alleviare ansie sociali e ambientali, allora si apriranno strade per uno sviluppo più armonico.


Rispetto ai competitor e ad altre ricerche, questo studio di Ipsos suggerisce una chiave di lettura meno incentrata sull’entusiasmo per il “nuovo” e più spostata sull’analisi della complessità. La sfida per manager e imprenditori sta nell’accogliere questa complessità come un’opportunità di differenziazione: scegliere dove investire, come modulare messaggi e politiche commerciali, quali valori porre al centro del proprio brand. Cercare di rendersi rilevanti in un mondo diviso non è compito semplice, ma attraverso una lettura onesta e ragionata dei dati, si possono identificare sentieri strategici di successo.


Nessuno scenario, tuttavia, garantisce risultati immediati se non si costruisce un dialogo continuativo con i cittadini-consumatori, i dipendenti, i fornitori, le istituzioni. I risultati quantitativi sono chiari: la pluralità di voci e posizioni è in espansione. Servono quindi nervi saldi e consapevolezza che la gestione delle contraddizioni non è un limite bensì un aspetto connaturato all’evoluzione odierna.


In definitiva, Ipsos Global Trends ci consegna un ritratto del mondo odierno in cui pessimismo pubblico e ottimismo privato convivono, dove la sfiducia verso le istituzioni si intreccia con una continua ricerca di punti di riferimento. Il passo successivo sarà decidere come fare leva su questi dati e come progettare il futuro con più realismo, cercando al contempo di non rinunciare alla possibilità di migliorare collettivamente. E qui risiede forse la più grande opportunità per chi opera nei mercati: contribuire, in modo consapevole, a delineare soluzioni e visioni che uniscano persone, tecnologie e valori, senza cadere nella trappola di semplificazioni superficiali.

 


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