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Intelligenza Artificiale nella Difesa: dinamiche, sfide e prospettive

Immagine del redattore: Andrea ViliottiAndrea Viliotti

JSP 936 V1.1 Dependable Artificial Intelligence (AI) in Defence Part 1: Directive” è il titolo della più recente direttiva per la Difesa sviluppata da Alison Stevenson (Director General Delivery & Strategy, Ministry of Defence) insieme a Defence AI and Autonomy Unit (DAU) e Defence AI Centre (DAIC), in collaborazione con il Ministero della Difesa del Regno Unito. Il documento si concentra sull’implementazione dell’Intelligenza Artificiale in ambito militare, puntando a un uso sicuro e responsabile delle nuove tecnologie. L’obiettivo principale è fornire direttive chiare su come sviluppare algoritmi e modelli d’avanguardia, garantendo trasparenza, adeguatezza normativa ed etica.

Intelligenza Artificiale nella Difesa
Intelligenza Artificiale nella Difesa: dinamiche, sfide e prospettive

L’Intelligenza Artificiale nella Difesa globale: opportunità e responsabilità

La direttiva inquadra l’Intelligenza Artificiale nella Difesa del Regno Unito come elemento trasversale, destinato a permeare ogni aspetto dell’apparato militare contemporaneo. Le basi teoriche del documento suggeriscono che adottare forme di AI in diversi segmenti della Difesa – dalla logistica fino al supporto decisionale in ambienti operativi complessi – può favorire un incremento dell’efficacia e della rapidità di azione. Al contempo, viene esplicitamente sottolineato che l’ampia diffusione della tecnologia va bilanciata con un livello elevato di controllo e responsabilità, in modo da proteggere non solo gli operatori, ma anche la popolazione civile e l’integrità dei sistemi stessi.


L’importanza di una visione strategica dell’AI deriva anche dalle esperienze maturate negli ultimi anni. L’evoluzione dell’AI evidenzia con chiarezza la velocità di sviluppo raggiunta dagli algoritmi di Machine Learning e Deep Learning, soprattutto in aree quali la computer vision e l’elaborazione del linguaggio naturale. D’altro canto, la Difesa ha compreso che le possibilità offerte dall’AI non si limitano alle capacità di calcolo, ma si estendono all’intero scenario di sicurezza internazionale, tenendo conto delle potenziali vulnerabilità aperte da tecniche di attacco informatico mirate, come l’avvelenamento dei dati o la manipolazione di modelli addestrati su dataset non affidabili.


Proprio per questo, il documento sottolinea il concetto di contesto operativo (Operating Design Domain, ODD), ovvero l’insieme di condizioni, requisiti e vincoli in cui un determinato sistema AI dovrebbe operare. Definire con precisione l’ambito di utilizzo di un algoritmo o di un modello non è soltanto un esercizio tecnico, ma diventa la base per comprendere i rischi e pianificare le adeguate misure di protezione. Se un sistema di riconoscimento e tracciamento automatico di veicoli o persone viene addestrato in ambienti semplificati, potrebbe fallire in contesti ostili o molto diversi dal dataset di riferimento, generando decisioni errate che mettono a repentaglio la sicurezza del personale.


La sezione iniziale del documento insiste sull’importanza di non vedere il fattore etico e normativo come un freno all’innovazione, bensì come una leva per consolidare la fiducia di tutte le parti in causa, dal singolo operatore al Parlamento e all’opinione pubblica.

Inquadrare l’AI in un perimetro di responsabilità definita – in cui si chiarisce chi controlla l’algoritmo, chi risponde dei risultati e come sono strutturati i processi di revisione – rende possibile un’adozione più ampia e soprattutto sostenibile nel lungo periodo. La presenza di una supervisione umana attiva, con meccanismi di tracciamento e auditing, rappresenta una delle condizioni chiave per mantenere salda la cosiddetta human-centricity espressa dalla Direttiva. È esattamente questo uno dei punti su cui si concentra il quadro metodologico: i principi ASR (Ambitious, Safe, Responsible) puntano a gestire con equilibrio l’adozione di strumenti che potranno avere un impatto marcato sulle decisioni operative.


In parallelo, la rilevanza strategica dell’AI si estende anche ad aspetti più di retrovia, ma non per questo meno cruciali, quali l’analisi di grandi volumi di dati per la manutenzione predittiva di sistemi d’arma o di flotte logistiche, e la riduzione dei tempi di risposta in procedure amministrative di back-office. L’AI, se opportunamente addestrata e inserita in architetture affidabili, può accelerare il flusso di informazioni essenziali e alleggerire il personale da compiti più ripetitivi, lasciando spazio a mansioni di pianificazione strategica o supervisione. Il pericolo, però, risiede in eventuali errori di interpretazione dei dati o in eccessiva fiducia nell’algoritmo quando le condizioni reali differiscono dallo scenario di addestramento. Da qui discende la necessità di un monitoraggio continuo della performance dei modelli, sia prima del rilascio sia durante l’impiego sul campo, grazie a procedure di test e verifica pensate in modo da tenere conto di eventuali mutamenti nel panorama operativo.


L’analisi strategica del documento evidenzia inoltre l’esigenza di mantenere un approccio multidisciplinare, con competenze legali, tecniche e operative che cooperino in tutte le fasi del ciclo di vita dell’AI. Questo coinvolgimento deve cominciare in fase embrionale, quando si stabiliscono i requisiti funzionali e si avvia la raccolta dati, e proseguire durante lo sviluppo, l’integrazione e la valutazione dell’affidabilità. Non è raro che progetti di difesa facciano uso di soluzioni open source o di software commerciali, e in ogni caso è cruciale esigere dai fornitori esterni un livello di certificazione adeguato, per evitare che manchino evidenze solide sui dati e sui processi di test. Il Ministero della Difesa britannico, a tal proposito, rimarca la necessità di garanzie contrattuali che consentano di effettuare tutte le verifiche del caso, incluse quelle sulla provenienza del dataset.


AI affidabile nella Difesa: principi etici e normativi

Il documento evidenzia con chiarezza che l’Intelligenza Artificiale non va trattata come un semplice supporto digitale, bensì come una tecnologia destinata a dialogare con processi decisionali vitali. Da qui deriva la centralità di riferimenti normativi e principi etici, poiché qualsiasi sistema AI deve conformarsi alle leggi e alle convenzioni internazionali, in particolare nel quadro del Diritto Internazionale Umanitario. Negli usi di difesa, ciò implica uno studio approfondito delle norme relative all’impiego della forza, alla tutela dei diritti umani e all’accountability dei vertici militari. La “JSP 936” mette dunque in guardia i tecnici e i responsabili di progetto dai rischi di un’eventuale mancanza di supervisione legale: si rischierebbe di cadere in violazioni di cui l’intero ente militare dovrebbe poi rispondere, con ricadute gravissime in termini di credibilità e responsabilità politica.


L’approccio codificato nei cinque principi ASR – human-centricity, responsibility, understanding, bias and harm mitigation, reliability – suggerisce che ogni azione debba essere valutata in un’ottica di impatto potenzialmente ampio, perché le soluzioni AI hanno una vocazione adattiva: un modello addestrato su specifici dataset può mutare prestazioni e risultati se esposto a nuove condizioni o set di dati alternativi. Il principio della human-centricity ribadisce l’esigenza di mantenere la persona (operatore, analista, cittadino) al centro della filiera decisionale, sia prevenendo possibili danni alle comunità civili sia garantendo l’adeguatezza delle scelte che si compiono in ambito operativo.


Responsibility significa poi definire, senza ambiguità, chi risponde delle azioni del sistema AI in fase di sviluppo, addestramento, impiego operativo e manutenzione continua. Il documento inserisce figure di riferimento, come il Responsible AI Senior Officer (RAISO), concepite per accertarsi che non si creino zone grigie dove l’algoritmo agisce senza controllo umano. In questo scenario, anche la comprensione (understanding) diventa un fattore chiave: se un team non sa spiegare i criteri di base con cui un determinato modello genera output e non è in grado di comprendere i limiti dei dati di addestramento, vengono meno le premesse stesse di un uso intelligente e consapevole dell’AI. Non basta implementare meccanismi di machine learning e sperare che diano risultati affidabili: occorre strutturare una documentazione articolata, condurre test di validazione e rendere comprensibili, per gli utenti finali, gli esiti dell’elaborazione, almeno a un livello sufficiente a guidare la fiducia o la cautela necessaria.


L’analisi della bias and harm mitigation porta all’attenzione il problema della discriminazione e dei potenziali effetti indesiderati. Un algoritmo di riconoscimento facciale, ad esempio, potrebbe avere tassi di errore più elevati su determinate fasce di popolazione se addestrato con dataset non bilanciati. In un contesto di Difesa, la discriminazione indebita o la sottovalutazione di determinati profili di rischio potrebbe dar luogo a operazioni non conformi ai principi di proporzionalità e di protezione dei civili. Per questo, la fase di raccolta dati va curata in maniera rigorosa, certificando l’origine delle informazioni, la loro qualità e la pertinenza rispetto agli scenari previsti. Lo stesso discorso vale per la gestione in sicurezza dei dati e dei modelli, poiché eventuali vulnerabilità informatiche rischiano di compromettere l’intero sistema, spalancando le porte a manipolazioni o furti di informazioni sensibili.


Altro aspetto rilevante è quello della reliability, la necessità di garantire che il sistema AI operi in modo robusto, sicuro e rispondente alle richieste anche in circostanze avverse. La Difesa richiama le procedure di verifica e convalida tipiche del software, che vanno però ampliate con test su larga scala e revisioni continue, perché gli algoritmi di apprendimento potrebbero degradare nel tempo o risultare imprevedibili in condizioni estreme. Viene proposto un approccio di sicurezza by design, integrando valutazioni e meccanismi di sicurezza fin dall’inizio, insieme a un monitoraggio costante in scenari reali. Questo richiamo assume ancora maggior peso nel caso dei sistemi di Robotic and Autonomous Systems (RAS), dove l’intervento umano può essere limitato, e un malfunzionamento algoritmico rischia di condurre a errori in teatri di operazione critici.


Nella parte legale ed etica del documento si sottolinea che la compliance non è semplicemente legata a ciò che la tecnologia fa, ma a come viene implementata e gestita. È in questo “come” che si manifestano potenziali violazioni o ottemperanze: la stessa AI potrebbe essere impiegata o impostata in modi molto differenti, e la Direttiva ribadisce che ogni passaggio deve essere in linea con le normative nazionali e internazionali. La chiarezza di ruoli si rivela allora decisiva. Il team legale interno, in contatto con i riferimenti giuridici del Ministero, deve esaminare periodicamente lo sviluppo e l’impiego della tecnologia, segnalando zone a rischio o lacune normative. Le decisioni finali spetteranno a livelli superiori, come i TLB Executive Boards, che a loro volta invieranno dichiarazioni di conformità e report di rischio a figure di vertice quali il 2PUS (Second Permanent Under Secretary) o i ministri competenti, se il livello di rischio si attesta su soglie critiche.


Sicurezza e test dell’AI nella Difesa: verso un'implementazione affidabile

Uno dei punti più dettagliati del documento riguarda il processo di creazione, test e integrazione delle soluzioni AI. Vengono descritte metodologie che richiamano i princìpi DevOps e MLOps, ossia flussi di lavoro pensati per un continuo perfezionamento degli algoritmi. Il testo ufficiale pone l’accento su come modelli di Machine Learning o tecniche di Deep Learning abbiano bisogno di set di dati di addestramento e validazione adeguati, per evitare fenomeni di overfitting (quando l’algoritmo impara troppo fedelmente il dataset perdendo capacità di generalizzazione) o underfitting (quando l’algoritmo non riesce a cogliere la complessità del problema). Esiste poi il rischio di catastrofic forgetting, dove un modello, aggiornandosi con dati nuovi, “dimentica” competenze precedentemente acquisite.


Il testo riflette su un aspetto cruciale: ogni soluzione AI va integrata in un sistema più ampio, con precise caratteristiche di sicurezza, configurazioni hardware e interfacce definite. Se i componenti circostanti cambiano in modo sostanziale, ci si deve accertare che l’algoritmo continui a funzionare correttamente, ripetendo test di integrazione e validazione. La verifica riguarda sia la bontà del codice, sia la rispondenza ai requisiti e la gestione delle vulnerabilità. Nel contesto militare, questa esigenza si fa particolarmente stringente, poiché un piccolo errore di interpretazione dei dati può generare conseguenze enormi sul campo, compromettendo missioni o mettendo in pericolo vite umane.


All’interno di questa riflessione sulla robustezza dei modelli, la Direttiva ribadisce la necessità di monitorare con costanza l’ambiente operativo in cui l’AI è schierata. Il cosiddetto Operating Design Domain diventa così un criterio fondamentale per definire i confini di validità del modello e capire quando i dati in arrivo esulano dalla casistica prevista. Se un sistema fosse addestrato per operare in scenari urbani, potrebbe non essere adatto a situazioni di guerra elettronica in aree desertiche. L’aggiornamento periodico delle reti neurali, sulla base di nuovi dati, diventa essenziale, ma dev’essere effettuato con un processo di qualità che non infici prestazioni già acquisite. Rientra qui anche la questione della configurazione dei dati, che devono essere protetti da manomissioni e adeguatamente gestiti in termini di provenienza, come specificato dalla politica di configurazione definita dal Ministero della Difesa.


I punti salienti relativi allo sviluppo si collegano all’importanza di scegliere le metriche di performance che più si adattano all’obiettivo militare e di sicurezza. Una precisione elevata in laboratorio potrebbe non tradursi in accuratezza soddisfacente in un’operazione sul campo, specie se il dataset di addestramento non riflette condizioni reali. Da qui emerge l’obbligo di salvaguardare dati di test e set di dati di verifica separati, per controllare in maniera indipendente la performance del sistema. È inoltre richiesto un approccio alla sicurezza integrato fin dalla fase di design, per prevenire attacchi di avvelenamento del dataset (poisoning) o alterazioni in fase di inferenza. La direttiva riconosce che le metodologie tradizionali non sempre risultano sufficienti, soprattutto in un campo in rapida evoluzione come l’apprendimento automatico, per cui si auspica un’integrazione continua delle procedure di analisi del rischio lungo l’intero ciclo di vita.


Interessante è la prospettiva dedicata alla riutilizzabilità dei modelli. La Direttiva specifica che in molti contesti si potrebbe preferire un modello già addestrato, modificando alcune parti o riaddestrandolo su dataset più specifici. In tali circostanze, occorre assicurarsi di avere documentazione trasparente su come il modello è stato inizialmente sviluppato e verificato, sugli eventuali vincoli di licenza e sulle garanzie di compatibilità con i requisiti operativi. Ritorna quindi il ruolo dei contratti di fornitura con soggetti esterni, che devono chiarire la titolarità dell’algoritmo, la proprietà intellettuale dei dati e la possibilità di effettuare test interni di validazione. Solo in presenza di questi elementi, si potrà procedere in sicurezza a integrare lo stesso modello in nuovi sistemi o contesti operativi.


D’altro canto, la dimensione contrattuale assume anche un profilo internazionale, visto che la collaborazione con industrie e Università straniere deve tenere conto dei controlli all’esportazione, di possibili regimi di restrizione e del fatto che in scenari di cooperazione con alleati come la NATO o altre forze multinazionali, i set di regole potrebbero variare.

La Direttiva suggerisce poi di non trascurare il fattore obsolescenza: i sistemi software evolvono rapidamente, e le soluzioni di AI che oggi appaiono all’avanguardia potrebbero rivelarsi superate in tempi brevi. È fondamentale pianificare aggiornamenti e procedure di manutenzione che tengano il passo con le minacce di sicurezza emergenti e con i progressi tecnologici, valutando in che misura un modello possa essere esteso o aggiornato senza rischiare alterazioni negative delle prestazioni.


Gestione del rischio, sicurezza e responsabilità nella sperimentazione

Uno dei punti centrali della JSP 936 riguarda la gestione del rischio in tutte le fasi di sviluppo e impiego dell’AI. Il sistema di classificazione proposto suggerisce di definire un livello di rischio in base a impatto e probabilità, identificando possibili scenari in cui un uso improprio o una falla nell’algoritmo potrebbero generare danni concreti. I progetti di AI che superano determinate soglie di criticità richiedono un’attenzione gerarchica molto elevata, passando per la valutazione da parte del Joint Requirements Oversight Committee o dell’Investments Approvals Committee, e in casi estremi persino la supervisione ministeriale. Non si tratta di mera burocrazia, ma di un meccanismo pensato per assicurare la massima allerta quando sono in gioco attività con forti implicazioni etiche o operative.


Il testo puntualizza che la sicurezza non si limita alla protezione da attacchi informatici, benché sia un aspetto focale vista la crescita di tecniche di hacking avanzato e la possibilità di manipolare i dati di addestramento per generare effetti avversi. La sicurezza comprende anche la tutela dell’incolumità fisica negli scenari in cui l’AI viene utilizzata a bordo di sistemi aeronautici, terrestri o navali autonomi. In tali situazioni, un guasto dell’algoritmo, oppure un malfunzionamento dovuto a contromisure elettroniche ostili, potrebbe determinare errori di manovra pericolosi. Ecco perché la Direttiva insiste su procedure di test molto rigorose, simulate in condizioni operative realistiche o quasi reali, con la possibilità di isolare rapidamente il sistema in caso di comportamento anomalo. È chiaro che la definizione di standard di sicurezza e il coordinamento con normative quali le Def Stan 00-055 e 00-056 diventano obbligatori, così come il ricorso a Safety Management Systems collaudati (JSP 815, JSP 375 e JSP 376).


Il tema della responsabilità, correlato al concetto di governance dell’AI, coinvolge diversi ruoli professionali e copre l’intero arco di vita del progetto, dallo sviluppo iniziale ai successivi aggiornamenti, passando per l’esecuzione concreta in missione. L’ottica suggerita è di evitare strutture ridondanti, ma di aggiornare i processi di controllo già esistenti in modo che integrino le peculiarità dell’AI. Le autorità di vertice vogliono fare in modo che le squadre non si ritrovino a duplicare procedure inutili, ma piuttosto adattino i protocolli, rendendoli capaci di riconoscere e gestire i rischi tipici dei sistemi di apprendimento automatico.


Un approccio responsabile comprende anche la consapevolezza che l’AI non è infallibile e può avere margini d’errore non sempre prevedibili. Nel contesto delle sperimentazioni (progetti Research & Development), la Direttiva enfatizza la necessità di condurre test controllati, preferibilmente in ambienti sicuri, dove eventuali comportamenti indesiderati possano essere studiati e corretti. La ricerca su esseri umani, se necessaria per validare l’efficacia di certi algoritmi (ad esempio, per l’analisi delle interazioni uomo-macchina), deve rispettare scrupolosamente le linee guida di JSP 536, in cui si affrontano i temi di sicurezza e consenso informato dei partecipanti. Soprattutto, occorre evitare effetti indesiderati su individui ignari, come l’uso di dati personali sensibili in contesti non chiaramente autorizzati.


Sempre sul fronte sperimentale, la Direttiva indica la produzione di template e materiali di supporto (model card, etichette di rischio etico, questionari di AI assurance) che dovrebbero agevolare il personale. L’obiettivo è creare una biblioteca di buone pratiche, per permettere ai vari reparti di scambiarsi informazioni su soluzioni di successo, lezioni apprese e vulnerabilità individuate. Questa condivisione è considerata fondamentale anche nell’ottica dell’interoperabilità con gli alleati, dentro e fuori la NATO, perché l’AI non rispetta confini nazionali e richiede una collaborazione a livello internazionale per essere gestita con efficacia. In particolare, la linea di pensiero della Difesa britannica, in consonanza con le tendenze NATO, si fonda sulla costruzione di un’AI che risulti trasparente, analizzabile e coerente con i principi democratici condivisi.


La gestione del rischio viene ulteriormente rafforzata dal richiamo a questioni come la confidenzialità, l’integrità e la disponibilità dei dati (i classici pillar di sicurezza cibernetica). Per un sistema addestrato con dati classificati, la Direttiva specifica che il modello prodotto assume lo stesso livello di classificazione o persino un livello più alto, se l’aggregazione di dati sensibili genera uno scenario di rischio elevato. Da ciò discende l’obbligo di tenere sotto stretto controllo ogni passaggio di informazioni, con procedure di auditing e tracciamento chiaro del flusso di dati dall’origine alla fase di addestramento e poi al rilascio sul campo.


Human-AI Teaming nella Difesa: integrazione e innovazione

Il documento “JSP 936” affronta con particolare cura il tema dell’integrazione fra esseri umani e macchine intelligenti. È un argomento che non coinvolge solo i piloti di droni o i soldati che impiegano sistemi di puntamento automatico, ma si estende anche ai settori amministrativi e logistici. L’human-AI teaming è considerato un tratto distintivo della trasformazione digitale in atto: operatore e macchina devono operare in sinergia, facendo leva sui rispettivi punti di forza. Il ruolo umano resta cruciale per assicurare un controllo significativo e per intervenire con la necessaria flessibilità, mentre la macchina può fornire analisi rapide di dati complessi, suggerendo scenari e riducendo la fatica cognitiva dell’operatore.


Tuttavia, perché questa collaborazione produca i risultati attesi, la formazione del personale diventa un requisito imprescindibile. Il documento descrive la necessità di erogare training non soltanto per istruire all’uso dei nuovi sistemi, ma anche per sviluppare una comprensione approfondita dei loro punti deboli e dei rischi associati. Se un operatore credesse ciecamente all’esito di un sistema di riconoscimento di immagini, potrebbe non notare falsi positivi o falsi negativi in condizioni impreviste, con conseguenze disastrose. La Direttiva raccomanda di pianificare programmi di addestramento che mostrino al personale casi limite, situazioni anomale ed esempi di errore tipici dei modelli AI, fornendo indicazioni chiare su quando e come intervenire manualmente.


Il concetto di human-centricity si rivela pienamente anche qui, poiché il personale non è soltanto un ingranaggio della catena, ma un protagonista nell’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nella Difesa. In alcuni scenari operativi, i robot e i sistemi autonomi devono potersi muovere senza intervento continuo, ma ciò non toglie che un comando centrale debba essere in grado di riprendere il controllo in qualunque momento. Questa forma di “controllo significativo” è alla base dell’etica militare e risponde a specifici requisiti legali. La Direttiva insiste quindi sulla definizione di ruoli chiari e competenze specifiche: chi addestra l’AI, chi la testa, chi l’approva, chi ne monitora le prestazioni durante le missioni e chi gestisce le eventuali emergenze. Ogni persona coinvolta dovrebbe avere una formazione adeguata a ricoprire il proprio ruolo e, dove le competenze interne non bastano, si auspica il ricorso ad accordi di collaborazione con università e imprese specializzate, così da colmare i gap di conoscenza.


Il documento illustra che la sfida del multidominio – aria, terra, mare, spazio e cyberspazio – comporta l’esigenza di standard unificati: un sistema AI che controlla un veicolo autonomo terrestre potrebbe dover operare in rete con una piattaforma navale o con un satellite di osservazione. L’uman-AI teaming, in quest’ottica, diventa un lavoro di squadra esteso, dove più algoritmi operano in parallelo e diversi gruppi di operatori interagiscono simultaneamente con la tecnologia. La complessità cresce, e con essa la necessità di procedure di test integrate, scenari di simulazione congiunti e un quadro normativo che definisca responsabilità comuni. È proprio in questa integrazione che la Difesa britannica vede la possibilità di manutenere un vantaggio militare, purché si crei un ecosistema di fiducia tra gli Alleati e si offrano sufficienti garanzie di comportamento corretto dei sistemi.


Nei capitoli finali, la JSP 936 menziona esplicitamente il bisogno di aggiornare le carriere del personale affinché l’AI non venga vista come mero strumento, ma come parte integrante del mestiere del soldato e del funzionario di Difesa. Questa trasformazione culturale esige un investimento costante: dalle piattaforme di e-learning alla creazione di gruppi multidisciplinari di analisti, dal potenziamento dei laboratori di simulazione all’introduzione di protocolli di sicurezza specifici per scenari di intelligence artificiale. In definitiva, la Direttiva promuove un modello di organizzazione che sappia evolvere con la stessa rapidità con cui la tecnologia si trasforma, evitando di irrigidirsi in schemi non più adeguati al contesto contemporaneo.


Conclusioni

Le informazioni emerse dal documento “JSP 936 V1.1 Dependable Artificial Intelligence (AI) in Defence Part 1: Directive” tracciano un quadro realistico e articolato di come l’Intelligenza Artificiale si stia insinuando nei meccanismi della Difesa, influenzando scelte operative, processi logistici e valutazioni etiche. La sicurezza, la robustezza e la trasparenza dei sistemi non rappresentano più dettagli tecnici, ma veri fattori abilitanti di un potenziale vantaggio competitivo su cui le forze armate stanno investendo. Se ci si limita a osservare lo stato dell’arte, è evidente che numerose tecnologie similari – dalle grandi reti neurali usate nelle aziende commerciali fino ai software di analisi predittiva in ambito finanziario – offrono già funzionalità paragonabili. Il vero nodo sta nella specifica integrazione di questi strumenti con le esigenze dei teatri di operazione e con i rigorosi standard di responsabilità giuridica che la difesa nazionale e internazionale richiedono.


Un elemento fondamentale consiste nel garantire un dialogo continuo tra la ricerca scientifica e l'ambito militare, promuovendo momenti di riflessione che permettano di prevedere e comprendere gli impatti futuri degli algoritmi. Non sempre chi sviluppa un modello di Deep Learning ha la piena consapevolezza delle complessità operative di un campo di battaglia, né chi pianifica missioni ha familiarità con le potenziali derive di un modello addestrato in modo parziale. Da ciò scaturisce la necessità di interfacce permanenti tra le competenze, per garantire che le soluzioni, pur essendo ambiziose, non superino il limite di tolleranza al rischio.


In un panorama sempre più ricco di soluzioni di AI, dalle piattaforme open source alle proposte di grandi multinazionali, la Difesa è chiamata a valutare in che misura sistemi esterni possano essere integrati in architetture proprietarie. La questione dell’interoperabilità, soprattutto in alleanze internazionali e con la NATO, va ben oltre la scelta dei formati di file. Riguarda la garanzia che i principi etici, le metodologie di test e i livelli di sicurezza siano allineati, così da costruire un rapporto di fiducia reciproca e una solidale condivisione di informazioni. Il confronto con tecnologie concorrenti o parallele, che agiscono in altri Paesi o nel settore privato, fornisce l’occasione di cogliere spunti di miglioramento continuo, purché si rimanga ancorati a criteri di affidabilità e trasparenza.


La necessità di protocolli severi, di un’analisi del rischio dettagliata e di un monitoraggio etico costante rende il settore dell’Intelligenza Artificiale nella Difesa un laboratorio di idee in cui la sinergia tra industria e istituzioni militari può produrre innovazioni di grande solidità. Sotto il profilo pratico, significa studiare modelli di business in cui la collaborazione pubblico-privato non si limita alla fornitura di soluzioni tecnologiche, ma include un continuo interscambio di competenze legali, scientifiche e operative.


La “JSP 936” non è soltanto un manuale di regole, ma uno stimolo a capire fin dove l’Intelligenza Artificiale possa spingersi senza perdere di vista i valori democratici e la sicurezza collettiva. Se da un lato la velocità di evoluzione tecnologica spinge verso l’adozione sperimentale di sistemi sempre più complessi, dall’altro è indispensabile una riflessione pacata sugli impatti strategici e sull’eventualità che i modelli, in un futuro prossimo, diventino ancor più capaci di apprendere e adattarsi. In conclusione, l’efficacia di questi strumenti si giocherà sulla capacità delle organizzazioni di prevedere e governare le implicazioni etiche e operative, nonché di formare il personale a un uso critico e consapevole, ricercando un equilibrio che consenta di cogliere i benefici senza esporre le strutture di difesa a rischi immotivati. Il messaggio chiave è che la vera forza dell’Intelligenza Artificiale risiede nella collaborazione tra uomini e macchine, purché sostenuta da processi solidi e da una visione etica e normativa sempre aggiornata.

 

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