“Artificial intelligence model risk management observations from a thematic review” è il titolo di una ricerca firmata da un gruppo di esperti, tra cui spiccano J. Tan, M. Lim e D. Wong. Le principali istituzioni coinvolte sono banche di rilevanza internazionale e autorità di vigilanza che operano nell’ambito finanziario. La tematica generale riguarda le pratiche di gestione del rischio nei sistemi basati sull’intelligenza artificiale, incluse le più recenti tecniche di Generative AI. Gli elementi di maggior rilievo per imprenditori e dirigenti si concentrano sugli impatti potenziali, dai benefici in termini di efficienza alla necessità di strutture di controllo più solide, anche alla luce delle evoluzioni rapide di strumenti come i Large Language Models.
Governance e rischio AI: ruoli e responsabilità per i leader
La ricerca evidenzia che la gestione del rischio AI rappresenta una sfida cruciale per l’adozione di modelli di intelligenza artificiale, con implicazioni sia tecniche sia strategiche. Nel contesto bancario, l’applicazione di AI in aree come la rilevazione delle frodi, la valutazione del rischio di credito e la gestione delle operazioni consente di ottenere stime più affidabili, sebbene restino incertezze inerenti a qualsiasi modello di tipo probabilistico. I dirigenti devono comprendere che l’AI non rappresenta soltanto un fattore di efficienza, ma anche un sistema che amplia l’esposizione al rischio operativo, reputazionale e regolamentare. In “Artificial intelligence model risk management observations from a thematic review” si sottolinea quanto la governance dell’AI debba tener conto della varietà dei possibili modelli e della loro rapida evoluzione. Un primo passo cruciale riguarda la responsabilizzazione dei vertici aziendali, poiché soltanto attraverso politiche istituzionali esplicite e forum di coordinamento trasversali è possibile evitare pericolose sovrapposizioni o falle di supervisione. Alcune grandi banche hanno istituito organismi interfunzionali che includono rappresentanti del risk management, della compliance, del comparto legale e di quello tecnologico. In tal modo si è favorito il monitoraggio adeguato di ogni applicazione di intelligenza artificiale, dallo sviluppo iniziale fino al suo impiego sul mercato, e si è creata coerenza fra metodologie di gestione e standard di controllo del rischio.
Si evidenzia l’importanza di istruzioni ben definite che chiariscano come affrontare aspetti etici, di trasparenza, di responsabilità e di correttezza verso clienti e stakeholder. Alcune banche, per esempio, hanno recepito principi legati all’uso equo dell’AI e li hanno mappati sui sistemi di controllo interni in modo da individuare quali funzioni ne siano responsabili. Un aspetto decisivo riguarda la capacità organizzativa di formare il personale. I dirigenti più lungimiranti investono in programmi di upskilling che consentono a team non specialistici, come le business unit, di riconoscere i potenziali rischi collegati ai modelli di AI e di dialogare costruttivamente con i reparti tecnici. Di riflesso, strutture centralizzate come i centri di eccellenza possono promuovere linee guida chiare, riducendo la dipendenza dai singoli sviluppatori. Le banche maggiormente avanzate non si limitano a competenze di data science interne, ma collaborano anche con università o imprese esterne per restare aggiornate sulla velocità di trasformazione degli algoritmi.
Per gli imprenditori è strategico capire che la governance dell’AI non riguarda solo lo scenario bancario. Qualsiasi azienda che desideri impiegare modelli di apprendimento automatico, soprattutto se di tipo generativo, dovrebbe definire ruoli e responsabilità chiare e strutturare momenti di confronto tra reparti tecnici, manageriali e legali. Tali iniziative, se ben calibrate, possono evitare inefficienze organizzative e possibili blocchi operativi in caso di criticità. Rispetto a questa esigenza, uno stimolo concreto consiste nel rendere la governance un fattore continuo di miglioramento: occorre riunire i referenti di progetto quando si modificano i modelli di AI, valutare la coerenza con le normative vigenti e rivedere procedure che potrebbero diventare presto obsolete. Gli imprenditori dovrebbero prendere spunto per costruire un ambiente flessibile ma controllato, dove l’innovazione tecnologica si integra con le esigenze di stabilità e sicurezza, anche tenendo conto dell’immagine che l’impresa trasmette sul mercato. Un esempio pratico è il ricorso a sistemi di convalida interna dei modelli, prima ancora che essi vengano introdotti nelle linee di produzione, così da avere un quadro realistico sui possibili errori e sulle soglie di tolleranza del modello.
Mappatura e valutazione dei modelli di AI per ridurre il rischio
Lo studio descrive i criteri attraverso cui le banche mappano e classificano i modelli di AI presenti in differenti reparti aziendali. L’obiettivo comune è capire con precisione dove vengano utilizzati algoritmi di machine learning e deep learning, compresi i sistemi di Generative AI addestrati con grandi moli di dati testuali o visivi. Questa mappatura risulta determinante per adattare la profondità dei controlli al livello di rischio intrinseco del modello. Un passaggio concreto è la creazione di inventari centralizzati che contengono informazioni chiave come scopo della soluzione, tipologia di output, dipendenze tecnologiche, riferimenti alla versione del modello e ambito geografico di utilizzo. I dati del documento suggeriscono che molte banche hanno unificato gli inventari modellistici in un’unica piattaforma che integra dati di provenienza eterogenea, compresi quelli sull’infrastruttura IT e sulle policy di sicurezza. Un processo così strutturato può prevenire scenari in cui un modello sviluppato per un settore specifico venga usato in modo improprio, per esempio importandolo in un’altra filiale con regole di business differenti. Per i manager aziendali, capire la reale finalità di ogni modello facilita la definizione di priorità d’investimento e la scelta di misure di mitigation adeguate.
Una tecnica spesso adottata è la valutazione della materialità del rischio, con parametri quantitativi e qualitativi suddivisi in tre aree generali: impatto potenziale sull’istituzione, complessità della tecnologia utilizzata e rilevanza dell’automazione. Se l’AI è impiegata in processi critici, come l’erogazione di credito, e ha potere decisionale sostanziale, allora il livello di attenzione deve essere elevato, prevedendo standard di convalida rigorosi. Molte banche definiscono soglie numeriche di performance minima basate su indicatori statistici, come i tassi di errore o i punteggi F1, per stabilire se il modello meriti controlli più o meno frequenti. Da un punto di vista operativo, queste procedure di risk assessment devono essere riviste periodicamente perché le distribuzioni dei dati cambiano nel tempo, facendo emergere il fenomeno noto come “data drift”. Un manager avveduto non vede questa attività come una formalità, ma piuttosto come un meccanismo dinamico che permette di intervenire sulle aree di maggiore instabilità prima che si verifichino errori critici.
Un esempio concreto riguarda l’indicizzazione della complessità: se un algoritmo di machine learning è di tipo gradient boosting – si pensi a XGBoost, LightGBM o CatBoost – e viene usato per la rilevazione di transazioni sospette, deve esistere un sistema di segnalazione in grado di allertare qualora i flussi in input mostrino variazioni anomale. Alcune banche, oltre a memorizzare lo scopo del modello e l’architettura, catalogano i dati di addestramento e stabiliscono metriche di allarme in grado di far emergere deviazioni nelle prestazioni. Chi gestisce attività imprenditoriali e dirigenziali può mutuare tali approcci definendo regole precise per modulare i controlli, dedicando più risorse soltanto alle iniziative con maggiore potenziale d’impatto (positivo o negativo). Inoltre, la creazione di un archivio unificato per i modelli si presta a scopi strategici: facilita il coordinamento tra diversi team, migliora la comunicazione interna su aspetti di conformità normativa e permette di rintracciare rapidamente le responsabilità quando emergono reclami da parte dei clienti o delle autorità. Per potenziare la consapevolezza interna e favorire la collaborazione, alcune istituzioni bancarie hanno sviluppato portali web che spiegano in linguaggio semplice finalità e livello di rischio di ogni modello, abbinando un glossario e tutorial per il personale non tecnico.
Strategie per lo sviluppo e la validazione dei modelli di AI
Nella fase di sviluppo, gran parte dell’attenzione si concentra sul tipo di dati e sugli algoritmi scelti, tenendo presente che l’obiettivo primario è bilanciare prestazioni e trasparenza. In molte banche, le procedure per i modelli convenzionali sono state arricchite per tenere conto di questioni tipiche dell’AI, quali l’overfitting e la necessità di explainability. I dati utilizzati per addestrare un modello debbono riflettere le reali condizioni operative, risultare sufficientemente eterogenei e non contenere squilibri che possano penalizzare particolari gruppi di clienti o generare errori sistematici. Alcune sperimentazioni hanno mostrato che, quando un modello di credit scoring è addestrato con dataset non rappresentativi, potrebbe escludere dalla concessione di prestiti intere fasce di popolazione. Da qui deriva la pratica di verificare la fairness dei modelli, per esempio esaminando se determinate caratteristiche sensibili come genere o etnia influiscano in modo discriminatorio sulle previsioni. Nel documento si citano metodologie incentrate sulla valutazione diretta delle cosiddette feature protette, accompagnate da strumenti matematici (come LIME o SHAP) che calcolano il contributo delle diverse variabili alla previsione finale. Chi dirige un’azienda può trarre beneficio da questo approccio, poiché il monitoraggio della correttezza del modello riduce rischi reputazionali e possibili contenziosi.
Un altro aspetto fondamentale è la verifica dell’effettiva robustezza. Ciò implica test di sensibilità e stress test che fanno emergere come l’AI si comporti con dati anomali o in presenza di condizioni di mercato non standard. Vengono menzionate pratiche come il “red teaming”, dove team specializzati provano a iniettare input ostili o imprevedibili per valutare la tenuta del sistema. I manager devono essere consapevoli che, a differenza di un algoritmo statistico lineare, un modello complesso di deep learning con milioni di parametri può produrre risultati inattesi se sottoposto a situazioni non previste in fase di addestramento. Ecco perché molte istituzioni finanziarie pretendono documentazione dettagliata: si annotano dataset iniziali, log degli esperimenti, iperparametri adottati e seed casuali, così che un soggetto terzo possa riprodurre l’intero processo di allenamento. Questa tracciabilità è determinante anche per un’eventuale revisione indipendente e rientra tra gli aspetti che possono rassicurare gli organi di vigilanza e gli stakeholder esterni.
Sul fronte della validazione, la ricerca sottolinea la distinzione tra modelli ad alta e bassa materialità di rischio. Per quelli che impattano maggiormente sui bilanci o sulla soddisfazione dei clienti, si richiede quasi sempre un team indipendente che esamini l’architettura, la qualità dei dati e i risultati dei test. La validazione indipendente, di solito, verifica che il modello non contenga bias nascosti e che non si scosti dalle linee guida interne. Per modelli meno critici, a volte si ricorre a peer review, in cui specialisti di un altro gruppo di sviluppo effettuano controlli incrociati. Queste buone pratiche derivano dalla consapevolezza che un modello di AI non è infallibile e che eventuali anomalie possono emergere solo attraverso controlli esterni e continui. Gli imprenditori non bancari possono adottare logiche simili se intendono utilizzare, per esempio, un sistema di generazione di testi che fornisce risposte a un help desk. Sapere che un’entità indipendente ha validato quel sistema aiuta a evitarne un uso improprio, con possibili danni all’immagine dell’azienda.
Deployment e monitoraggio continuo: la gestione del rischio AI
Il passaggio dall’ambiente di sviluppo a quello di produzione è un momento critico. Prima di rendere operativo un modello di AI, molte banche effettuano test su una porzione limitata di utenti o di dati reali per controllare che le prestazioni non si discostino da quanto osservato in laboratorio. Alcune istituzioni adottano pipeline di continuous integration e continuous deployment, note anche come CI/CD, che automatizzano il caricamento di nuovi pacchetti software e il relativo collaudo. Un sistema di AI in produzione richiede monitoraggi periodici, soprattutto se i dati in ingresso mutano rapidamente. È il caso dei modelli antifrode, dove i truffatori modificano strategie di raggiro, facendo emergere “concetto di drift” che riduce l’accuratezza del modello. I dirigenti attenti stabiliscono soglie di tolleranza, superate le quali il team di data science deve intervenire con un aggiornamento o un ritiro temporaneo del modello. Per evitare l’assenza di copertura funzionale, si prevedono metodi di fallback, come soluzioni manuali o modelli di riserva meno sofisticati ma ritenuti più stabili. Alcuni istituti installano veri e propri kill switch nei sistemi mission-critical, così da disattivare il modello in caso di prestazioni pericolosamente fuori controllo.
La gestione delle modifiche è essenziale per prevenire regressioni o problemi inattesi. In alcuni use case, l’AI necessita di essere riconfigurata più volte al giorno, come nei motori di raccomandazione di prodotti finanziari soggetti a variazioni di mercato. Se la procedura di cambiamento non è ben normata, si rischia di generare output contraddittori per i clienti. È prassi diffusa tenere traccia di tutte le versioni del modello, incluso il codice e i parametri di addestramento. In caso di problemi, tale versioning consente di tornare a una release precedente. Nel documento viene spiegato che, se un fornitore terzo di Generative AI aggiorna il modello, la banca deve riceverne comunicazione puntuale per svolgere controlli supplementari. Questo punto offre spunti di riflessione anche per i dirigenti di aziende più piccole che si affidano a soluzioni di AI fornite in modalità Software as a Service. Diviene necessario inserire nel contratto clausole esplicite su come e quando il fornitore possa cambiare l’algoritmo. In termini di operatività, imprese con risorse limitate possono valutare l’acquisto di piattaforme di MLOps che automatizzino attività di monitoraggio continuo e riducano il rischio di scarsa supervisione. Un esempio di potenziale beneficio: un responsabile marketing che utilizza un modello di generazione di testi per creare campagne personalizzate potrebbe impostare alert automatici qualora il tasso di apertura delle e-mail crolli in modo anomalo, segnalando un problema di coerenza nell’output generato
.
Generative AI: opportunità e rischi da considerare
La pubblicazione segnala che l’uso di Generative AI, come i grandi modelli linguistici sviluppati da OpenAI (GPT) o da Anthropic (Claude), è in una fase iniziale nel settore bancario, ma interessa un numero crescente di progetti pilota. Questi strumenti permettono di produrre testo e immagini, oppure di analizzare grandi volumi di dati non strutturati, con un potenziale miglioramento di processi interni e di customer engagement. Tuttavia, emerge un elevato grado di incertezza poiché i modelli generativi possono “allucinare” risposte inattese, compromettendo l’affidabilità del servizio. Alcune banche stanno limitando l’impiego di Generative AI a scenari che prevedano sempre la supervisione umana, per esempio l’elaborazione di bozze di testi interni o il riassunto di documenti, evitando di rendere la soluzione direttamente fruibile dai clienti. I rischi reputazionali e normativi potrebbero essere troppo alti se un modello generativo fornisse informazioni errate, causando lamentele o addirittura violazioni di normative in campo finanziario.
Un altro aspetto critico è la trasparenza dei fornitori terzi. Le aziende che commercializzano modelli di Generative AI, spesso, non rivelano tutte le caratteristiche dell’architettura né l’origine dei dati di addestramento. Ciò rende più arduo capire se il modello incorpori bias significativi o se sia conforme alle politiche interne di sicurezza e protezione dei dati sensibili. Per superare queste barriere, alcune banche applicano test interni con dati aziendali, valutando la resa del modello in modo autonomo. Vengono creati set di valutazione (benchmark) personalizzati, con esempi reali di dati testuali o visivi, così da stressare gli algoritmi e riscontrare eventuali limiti. Le più avanzate sperimentano l’uso di filtri in input e in output che riducono la presenza di contenuti discriminatori o tossici e vigilano su possibili fughe di informazioni personali. Soluzioni come “retrieval augmented generation” servono a collegare la generazione testuale a fonti specifiche e verificabili, costringendo il modello a rimanere ancorato a dati attendibili.
Terze parti forniscono anche sistemi di AI più convenzionali e molte banche si trovano nella condizione di dover gestire un intricato ecosistema di fornitori. Se un partner esterno cambia la versione di un modello, la banca deve essere allertata e pronta ad attuare procedure di retesting. Da qui l’importanza di adeguare contratti e accordi di servizio, introducendo clausole che impongano al fornitore di segnalare interventi significativi su algoritmi e di garantire la possibilità di audit. Per un’impresa che opera al di fuori dell’ambito finanziario, simili considerazioni restano valide: ogni volta che ci si affida a fornitori di soluzioni AI, occorre definire vie di fuga in caso di scostamenti non accettabili, definire backup plan e predisporre un controllo degli standard di sicurezza e protezione dei dati. Chi fornisce servizi a più clienti potrebbe essere tentato di adottare una singola soluzione AI in contesti molto eterogenei. Questo rischia di generare dipendenze di filiera e amplifica il danno potenziale se dovesse emergere una falla. Di conseguenza, almeno nei settori più regolamentati, i dirigenti devono adottare controlli paralleli: test di robustezza dei modelli, accordi contrattuali e verifica periodica dell’attendibilità del partner.
Conclusioni
I risultati della ricerca mostrano che una gestione del rischio adeguata richiede processi ben strutturati ma anche aperti a continui adattamenti, data la dinamicità dell’AI. Gli aspetti più rilevanti per i dirigenti d’impresa riguardano la consapevolezza di dover integrare metodi di monitoraggio costante e di convalida indipendente per ridurre gli impatti negativi. Ciò implica un’analisi pacata e realistica del potenziale dell’AI: le soluzioni sono potenti, ma non impeccabili e possono generare conseguenze inaspettate se il rischio non è adeguatamente circoscritto. Rispetto allo stato dell’arte, molte aziende tecnologiche sviluppano framework simili per la gestione dei modelli di machine learning, soprattutto negli ambiti e-commerce e social media, ma il mondo bancario porta in primo piano l’esigenza di rigore per ragioni regolamentari e di fiducia dei clienti. Questa prospettiva amplia il discorso a tutte le imprese interessate all’AI, perché condividono la stessa necessità di tutelare la reputazione e garantire la correttezza dei processi.
Per quanto possano esistere soluzioni AI con funzionalità già testate da comunità open source o big tech, un manager deve chiedersi se queste siano davvero pronte per essere integrate nelle attività critiche dell’azienda e quali passi siano indispensabili per mitigare il rischio. Le procedure di valutazione illustrano che, oltre a impostare controlli tecnici ed etici, serve anche un percorso di formazione continua per i dipendenti, i quali devono saper rilevare segnali d’errore o comportamenti anomali dei sistemi. È altrettanto decisivo confrontare i nuovi sistemi di AI con tecnologie alternative già mature: molti software di business intelligence tradizionali forniscono funzioni di analisi e reportistica, magari meno flessibili ma più comprensibili dal personale. A volte, soprattutto se la mole di dati è limitata, la differenza prestazionale tra un modello di AI avanzato e un modello tradizionale potrebbe non giustificare gli sforzi di sviluppo, validazione e monitoraggio. Il punto chiave è quindi una valutazione strategica sull’equilibrio tra innovazione e stabilità operativa, mantenendo uno sguardo realistico sulle capacità effettive dell’AI e sulle condizioni necessarie per sfruttarla con successo.
留言