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Immagine del redattoreAndrea Viliotti

Copyright e intelligenza artificiale: sfide e opportunità per le industrie creative e tecnologiche

Il documento “Copyright and Artificial Intelligence” esplora le complesse relazioni tra Copyright e Intelligenza Artificiale, condotta dall’Intellectual Property Office del Regno Unito insieme al Department for Science, Innovation & Technology e al Department for Culture, Media & Sport, affrontando il delicato equilibrio tra tutela delle opere creative e sviluppo di tecnologie basate sull’AI. Il documento evidenzia la necessità di nuove regole per supportare i diritti nel campo del Copyright e dell’Intelligenza Artificiale, favorendo trasparenza e innovazione. Questo tema coinvolge imprese, governi e utenti in un dialogo che punta a definire strumenti efficaci per proteggere l’espressione umana senza ostacolare la crescita del settore tecnologico, riconoscendo l’importanza della cooperazione internazionale e della chiarezza normativa.

Copyright e intelligenza artificiale
Copyright e intelligenza artificiale: sfide e opportunità per le industrie creative e tecnologiche

Copyright e intelligenza artificiale: l’urgenza di una riforma normativa

La consultazione evidenzia come l’Intelligenza Artificiale sia diventata un motore di crescita potenziale: il Fondo Monetario Internazionale, nel suo “World Economic Outlook” del 2024, sostiene che l’adozione di soluzioni AI potrebbe innescare incrementi di produttività fino a 1,5 punti percentuali l’anno. Allo stesso tempo, si sottolinea il valore delle industrie creative nel Regno Unito, capaci di generare 124,8 miliardi di sterline di valore aggiunto e di dare lavoro a migliaia di professionisti in settori che spaziano dall’editoria al cinema. Per comprendere la necessità di una riforma nel copyright, si deve prima inquadrare il contesto tecnologico nel quale operano le intelligenze artificiali di tipo generativo, sempre più dipendenti da enormi dataset costituiti, in molti casi, da opere protette.


Il dibattito, in breve, si concentra sulla natura e sulla portata di ciò che la legge sul diritto d’autore dovrebbe consentire o impedire durante il processo di “training”, ovvero la fase in cui i modelli AI apprendono regole, stili e pattern dai contenuti disponibili in rete o in banche dati. Molte opere ospitate su Internet, come libri, testi di canzoni, immagini e illustrazioni, vengono estratte da crawler automatizzati che raccolgono risorse per arricchire i data lake di partenza per l’addestramento dell’AI. Questo processo, da un lato, spinge l’innovazione consentendo agli sviluppatori di ottenere algoritmi più performanti e accurati, ma dall’altro crea incertezza per gli autori che non sanno in che modo le proprie creazioni vengono usate, né se avranno diritto a compensi proporzionati. La consultazione governativa mette in luce la difficoltà di concepire una norma che sia efficace senza frenare lo sviluppo dell’AI.


Da un lato, gli sviluppatori lamentano i rischi di sanzioni e cause legali, al punto da preferire l’addestramento dei loro modelli in Paesi con regole considerate più permissive o comunque più chiare. Dall’altro, i titolari di diritti affermano di non disporre di mezzi adeguati a verificare o bloccare l’uso non autorizzato delle proprie opere, con il risultato che non riescono a controllare l’impiego di materiale protetto, né a monetizzarlo attraverso licenze opportune. In questo scenario, il governo britannico propone di intervenire in modo diretto, ipotizzando una serie di misure che comprendano la trasparenza dei dataset, l’adozione di eccezioni mirate per il text e data mining, e la possibilità per i creatori di decidere in modo esplicito se riservare i propri diritti. Lo scopo è creare una struttura normativa che favorisca l’innovazione e, allo stesso tempo, metta i creatori nelle condizioni di negoziare e gestire l’uso delle loro opere. L’idea guida ruota attorno all’introduzione di un meccanismo di “riserva dei diritti” in cui l’accesso a materiale protetto per l’addestramento non sia automatico ma soggetto a clausole di licenza, nel caso in cui i detentori esprimano chiaramente una volontà di protezione.


Il successo di tali misure dipende però da un coinvolgimento plurale: oltre agli operatori dell’industria creativa e ai fornitori di AI, occorre la partecipazione dei consumatori, delle autorità e degli organi di standardizzazione. Senza un protocollo tecnico condiviso e un’armonizzazione con gli altri sistemi legislativi, la nuova cornice rischia di restare teorica, lasciando irrisolto il nodo del controllo effettivo. Questa prima riflessione, dunque, evidenzia quanto sia indispensabile agire in tempi rapidi e in modo chiaro per non frenare i progressi dell’AI e, al contempo, non privare gli artisti del meritato riconoscimento economico e morale. Il pericolo di una fuga dei colossi tecnologici dal Regno Unito evidenzia la gravità della situazione e la posta in gioco: un intervento equilibrato potrebbe trasformarsi in un’opportunità per tutti i soggetti coinvolti, purché si affrontino i temi della trasparenza, della chiarezza normativa e della tutela dei diritti con un atteggiamento costruttivo e informato.


Riserva dei diritti e standard tecnici: nuovi strumenti per il copyright nell’era AI

Il cuore delle misure proposte risiede in un’eccezione al diritto d’autore che consenta il data mining sulle opere liberamente accessibili, ma con la facoltà per i titolari dei diritti di “riservare” le proprie opere e impedirne l’uso senza licenza. L’ispirazione proviene in parte dall’Unione Europea, dove si è già introdotta l’idea di un’eccezione per text e data mining con un meccanismo opt-out. Tuttavia, il documento britannico rileva che questo modello europeo non è ancora privo di problemi, perché in molti casi il sistema per riservare i diritti risulta poco standardizzato e di difficile applicazione su larga scala. L’ipotesi oggetto di consultazione è applicare un criterio di “diritti riservati” attraverso soluzioni tecniche che rendano la volontà del titolare chiaramente leggibile dalle macchine. Un esempio di strumento esistente è il file robots.txt, utilizzato da diversi editori per bloccare la scansione dei propri contenuti, ma ritenuto inadeguato a gestire il controllo selettivo sul training di modelli AI. In effetti, un file robots.txt vale per l’intero dominio ed è concepito per i motori di ricerca, non per sistemi di machine learning che potrebbero necessitare di vincoli più mirati. Esistono iniziative private che consentono ai creatori di registrare le proprie opere in database, indicando la volontà di esclusione.


Alcune piattaforme, come Spawning.AI, forniscono opzioni denominate “Do Not Train”, ma la diffusione di questi strumenti non è ancora omogenea e richiede la collaborazione da parte degli sviluppatori di AI. Il governo britannico, dunque, valuta la possibilità di regolamentare i requisiti di trasparenza e di rispetto delle riserve, imponendo alle aziende che sviluppano AI di rivelare la provenienza dei dati e di rispettare eventuali metadata o segnali tecnici che negano l’autorizzazione all’uso del contenuto. L’obiettivo è rendere possibile un mercato delle licenze, specialmente su grandi cataloghi di contenuti, in cui i proprietari possano pattuire liberamente i termini con i fornitori di AI. Questo presuppone l’adozione di standard tecnici universalmente accettati, al fine di evitare la frammentazione attuale in cui diversi sviluppatori implementano metodi proprietari, costringendo gli autori a dover bloccare manualmente ogni piattaforma.


È interessante notare che la proposta tiene in considerazione anche le esigenze di imprese innovative di piccole dimensioni, che non potrebbero permettersi di contrattare singolarmente con tutti i detentori di diritti o di sviluppare processi di conformità troppo onerosi. Un sistema di licenze collettive e di codici condivisi potrebbe facilitare l’accesso a dataset ampi, favorendo lo sviluppo di prodotti AI di alta qualità, con il rispetto delle legittime aspettative dei creatori. Nel concreto, se un autore (o un grande editore) desidera concedere la licenza per l’uso delle opere a scopi di training, potrà rimanere all’interno dell’eccezione senza opporsi, ricevendo compensi contrattati con i soggetti che fanno leva su dataset di pregio. In caso contrario, potrà riservare i diritti e impedire la copia delle sue creazioni. Questa combinazione di libertà e controllo dovrebbe rappresentare un incentivo sia per i creatori, che potranno offrire licenze in modo più trasparente, sia per gli sviluppatori di AI, che avranno un quadro più sicuro in cui operare.


Il tema della standardizzazione e del sostegno governativo allo sviluppo di soluzioni tecniche è cruciale: si va dalla necessità di protocolli per leggere e applicare i segnali di “riserva dei diritti” alla promozione di metadati applicabili a singole opere. Si parla anche di forme di finanziamento pubblico per la ricerca di strumenti di etichettatura di massa, con l’obiettivo di aiutare specialmente i creatori meno strutturati a gestire l’enorme flusso di dati che circolano. L’assenza di questi standard rischia di vanificare la norma. Senza un meccanismo automatico, i titolari di diritti si troverebbero a dover verificare manualmente, caso per caso, e gli sviluppatori non avrebbero la certezza di essere conformi. È dunque evidente che la riserva dei diritti deve accompagnarsi alla possibilità concreta di esercitarli, senza gravare eccessivamente sugli operatori di settore, in un equilibrio che richiederà ulteriori confronti e sperimentazioni pratiche.


Trasparenza e collaborazione tra creatori e sviluppatori di AI

Il documento sottolinea che l’efficacia di qualsiasi nuova eccezione sul text e data mining dipenderà in larga misura dalla trasparenza. Un ostacolo alla fiducia reciproca risiede infatti nella scarsità di informazioni in merito alle fonti utilizzate per addestrare i modelli generativi. Molti creatori si sono lamentati dell’impossibilità di sapere se i propri contenuti, spesso pubblicati online a fini promozionali, siano stati copiati in segreto per costruire dataset enormi. Le imprese dell’AI, dal canto loro, affermano che rivelare in dettaglio milioni di fonti specifiche potrebbe essere complesso, soprattutto quando si opera con dataset gestiti da terzi o si utilizzano risorse open source prive di un archivio centralizzato. Da qui nasce la proposta di stabilire un obbligo di comunicazione perlomeno “sufficientemente dettagliato”, come avviene nel regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale (EU AI Act), in cui si chiede agli sviluppatori di divulgare la lista dei principali database e le fonti usate nell’addestramento, ammettendo un certo margine di sintesi. Il Regno Unito sembra intenzionato a coordinarsi con queste norme internazionali, per evitare ostacoli all’interoperabilità e mantenere l’attrattività del proprio mercato.


Nell’articolare queste richieste di trasparenza, occorre valutare anche l’eventuale conflitto con i segreti commerciali e la protezione delle informazioni riservate. Alcuni sviluppatori di AI potrebbero tutelare le proprie metodologie di raccolta dati come know-how aziendale, ritenendo dannoso dover divulgare ogni fonte. D’altra parte, i creatori hanno diritto di verificare eventuali usi illeciti delle proprie opere. La consultazione apre dunque uno spazio per proposte su come equilibrare trasparenza e tutela dei segreti industriali, magari prevedendo meccanismi di disclosure parziale o la creazione di un ente di controllo indipendente che possa accertare la provenienza dei dati senza rendere pubblici tutti i dettagli. Un altro aspetto di particolare rilevanza è la cosiddetta “labelling” o etichettatura dei contenuti generati da AI. Alcune piattaforme sperimentano già soluzioni di marcatura automatica, affinché l’utente finale sappia che un testo, un’immagine o un video sono stati prodotti da un algoritmo generativo. Questo è importante non solo per questioni di tutela del diritto d’autore, ma anche per motivi di correttezza informativa.


Se, per esempio, un lettore non sa di trovarsi di fronte a un articolo steso da un sistema di linguaggio naturale, potrebbe attribuire a un giornalista in carne e ossa opinioni e riflessioni che invece sono uscite da un processo automatizzato, con possibili implicazioni in termini di reputazione. Nel caso del diritto d’autore, etichettare i contenuti come “AI-generated” consentirebbe di verificare con maggiore immediatezza se un modello abbia, eventualmente, replicato in modo sostanziale opere protette. Un aiuto alla trasparenza potrebbe anche provenire dalla tracciabilità interna: alcuni algoritmi, durante la generazione, potrebbero salvare una “storia” del processo creativo, facilitando la dimostrazione che il testo o l’immagine non contengono porzioni coperte da copyright senza autorizzazione.


Il governo, nella consultazione, sottolinea che non intende appesantire troppo l’attività di piccole realtà imprenditoriali che usano o sviluppano AI: ciò che si cerca è una soluzione equilibrata, in cui esista un onere di disclosure proporzionale al tipo di modello, alla scala di utilizzo e alle finalità. Se un’applicazione generasse solo brevi estratti per uso educativo e senza finalità commerciali, potrebbe essere ingiusto imporre gli stessi obblighi di una grande azienda che produce contenuti destinati a milioni di utenti. Il dibattito rimane aperto, e anche la dimensione internazionale non va sottovalutata, soprattutto perché molti servizi AI vengono addestrati fuori dal Regno Unito e poi resi disponibili globalmente, rendendo cruciale una cooperazione tra diverse giurisdizioni.


Opere generate da AI: sfide legali e creatività umana

Un punto nevralgico, spesso discusso nella consultazione, riguarda la protezione delle cosiddette computer-generated works in cui non si riesce a identificare un autentico contributo creativo umano. La legge britannica, in base alla sezione 9(3) del Copyright, Designs and Patents Act, prevede una tutela specifica con durata di 50 anni per le opere originali prive di autore umano. Questo meccanismo, però, si scontra con l’evoluzione del concetto di “originalità” nella giurisprudenza, che tradizionalmente richiede un apporto intellettuale e scelte creative di un autore in carne e ossa. Oggi, la crescita dei sistemi generativi (testi, immagini, video, musica) interroga il senso stesso della tutela. Se l’algoritmo produce un brano musicale senza alcun intervento compositivo umano, ci si domanda se abbia senso garantire un diritto d’autore, e a chi eventualmente riconoscerlo. Alcuni sostengono che questa protezione non serva, perché la creatività automatica non necessita di incentivi come il copyright. Altri reputano che una tutela di base possa spingere le aziende o i singoli a investire in software, reti neurali e infrastrutture che producano contenuti, creando un vantaggio economico. I critici, però, obiettano che, al di là del regolare copyright che copre il suono, il video o il testo come “impronta” (ad esempio su un disco), non è opportuno attribuire uno status assimilabile a quello degli artisti ai programmi di AI.


Molti Paesi, come gli Stati Uniti, non riconoscono la protezione in assenza di un autore umano, e ciò non sembra aver rallentato la diffusione dell’AI. Se un’artista “assistito” dall’AI rimane comunque protetto, dal momento che la sua creatività, anche mediata da strumenti algoritmici, è tutelata dal diritto d’autore tradizionale, è la creazione puramente automatica a essere discussa. La consultazione invita quindi a pronunciarsi sull’ipotesi di rimuovere o riformare la sezione 9(3) della legge britannica, lasciando ad altre forme di tutela – per esempio imprenditoriale, come accade per il “publisher” di una registrazione sonora – il compito di coprire gli interessi economici di chi investe in progetti di AI.


Un ulteriore problema riguarda la possibilità che alcuni contenuti generati dalle macchine contengano plagio involontario o porzioni sostanziali di opere protette. Se una AI fosse addestrata con canzoni famose e ne producesse brani simili, potrebbe violare i diritti d’autore esistenti. Gli sviluppatori tentano di arginare questo rischio introducendo filtri e controlli interni, ma non sempre con risultati perfetti. Rimane dunque essenziale poter stabilire con certezza se un contenuto generato derivi in modo diretto e sostanziale da un’opera protetta. In definitiva, questa quarta sezione mette in luce la complessità di definire e regolare le computer-generated works. La scelta tra mantenere, modificare o abrogare la protezione legale a tali creazioni ha conseguenze non trascurabili sul piano economico, giuridico e culturale, e richiede un confronto allargato con tutti i soggetti interessati, dai giganti tecnologici ai singoli artisti, dalle università ai piccoli imprenditori che vedono nell’AI uno strumento di competitività.


Digital replicas e responsabilità: strategie per un ecosistema equilibrato

Un tema emergente che il documento ufficiale affronta è quello delle digital replicas, spesso chiamate deepfake, ovvero contenuti sintetici che riproducono fedelmente voce o aspetto di persone reali senza autorizzazione. Ciò suscita preoccupazioni notevoli nel settore creativo, in particolare tra musicisti e attori, poiché un modello di AI addestrato su registrazioni audio o video può ricreare interpretazioni vocali e visive molto simili alle performance originali. È vero che diversi elementi di diritto d’autore, come i diritti sulle esecuzioni, potrebbero limitare l’uso di tracce vocali o filmati specifici, ma non sempre queste forme di protezione bastano a evitare il proliferare di imitazioni sintetiche. Alcuni autori invocano “personality rights” più forti, sul modello di certi ordinamenti statunitensi, per poter bloccare l’impiego non autorizzato della propria immagine o voce.


La consultazione osserva che introdurre un nuovo diritto di personalità costituirebbe un notevole cambiamento per la legge britannica, poiché coinvolge aspetti di privacy, libertà di espressione e strategie commerciali di etichette discografiche e case di produzione cinematografiche. Il Regno Unito riconosce forme di tutela come il tort di passing off o la protezione dei dati personali, ma molti attori e cantanti temono che queste non siano abbastanza efficaci dinanzi a un’AI in grado di generare “cloni” vocali e visivi di grande realismo. Vi è poi il tema delle tecnologie emergenti come la sintesi vocale o la generazione di modelli corporei tridimensionali che possono creare “repliche” persino per scopi pubblicitari o di marketing, senza che la persona ne sia a conoscenza.


Sul piano internazionale, la consultazione registra un interesse crescente verso normative ad hoc, come quella californiana, e suggerisce che qualsiasi decisione in materia dovrà tener conto di questo trend. Un ulteriore nodo riguarda il processo di “inference”, ossia la fase in cui l’AI già addestrata utilizza dati, anche protetti, per generare risposte o nuovi contenuti in tempo reale. Ad esempio, un sistema di “retrieval-augmented generation” può leggere online news coperte da paywall o da diritti, integrandole in un testo di sintesi offerto all’utente finale. Se la legge sul diritto d’autore è chiara sul divieto di riproduzione sostanziale di parti protette, non si può ignorare la complessità di questi modelli, che potrebbero analizzare e riprodurre rapidamente una grande quantità di articoli. La consultazione chiede quindi di valutare se l’attuale quadro normativo sia adeguato a tutelare i creatori e a promuovere uno sviluppo sano della tecnologia.


Nel frattempo, si guarda già al futuro: l’utilizzo di dati sintetici, generati apposta per addestrare un modello senza violare i diritti d’autore, potrebbe risolvere gran parte dei problemi, ma è ancora incerto quanto ciò incida effettivamente sul mercato e sulla qualità delle soluzioni AI. In un panorama così in evoluzione, il documento governativo si propone come punto di partenza per un processo di confronto continuo. L’intento è procedere con un intervento legislativo che, da un lato, dia ai creatori maggiori strumenti di controllo e di monetizzazione e, dall’altro, continui a invogliare le grandi imprese del settore a investire e a fare ricerca in territorio britannico. Ciò implica un’accorta valutazione delle esigenze delle imprese di dimensioni ridotte e della comunità accademica, che spesso necessitano di regole flessibili per non rimanere escluse dal progresso.


Conclusioni

Le riflessioni emerse mostrano in modo piuttosto realistico quanto sia difficile trovare un punto di equilibrio tra l’innovazione nel settore dell’Intelligenza Artificiale e i diritti consolidati dell’industria creativa. Il Regno Unito, ospitando importanti aziende hi-tech e vantando un contributo culturale considerevole, sente l’esigenza di chiarire le regole in modo da non generare incertezza giuridica. Il confronto con altre normative, come quelle europee e statunitensi, suggerisce che un modello di eccezione per il text e data mining con la possibilità di “riserva dei diritti” sia una strada percorribile, a patto che siano introdotti strumenti tecnici e protocolli di standardizzazione.


Questo potrebbe allineare gli interessi dei creatori, dando loro la possibilità di optare per licenze remunerative, e degli sviluppatori di AI, che desiderano un accesso sicuro a grandi quantità di dati. Rimane però indispensabile un impegno sul fronte della trasparenza, affinché i dataset di addestramento e i contenuti generati siano più comprensibili e monitorabili, in particolare quando si parla di aspetti sensibili come plagio o violazione di opere protette. Occorre altresì riflettere sulle tecnologie già disponibili per rivelare la natura automatica di un contenuto (come sistemi di etichettatura), in modo che dirigenti aziendali e imprenditori possano decidere in maniera informata sulle strategie da adottare.


Se è vero che soluzioni come l’impiego di dati sintetici offrono possibili alternative, appare comunque decisivo l’intervento su meccanismi chiari di licensing e sui limiti alle cosiddette digital replicas, che rischiano di indebolire il valore delle performance creative e di acuire tensioni con il mondo dello spettacolo. Da un punto di vista strategico per le imprese, è cruciale capire come questa consultazione e i relativi sviluppi normativi possano impattare sugli investimenti. La presenza di regole certe e di un sistema di licenze efficace potrebbe attrarre nuove realtà AI, generando opportunità nei settori editoriale, musicale e cinematografico. Al contempo, i creatori necessitano di tutele che riconoscano il valore della loro produzione e assicurino un equilibrio tra sperimentazione tecnologica e ritorno economico. La sfida sta nell’evitare standard troppo complessi, che penalizzerebbero i più piccoli, e meccanismi troppo semplificati, che non difenderebbero in modo concreto i diritti.


Questo quadro rende evidente che il “fare nulla” non è più un’opzione praticabile, data la velocità con cui l’AI si sta diffondendo e la crescente irritazione di chi teme di perdere il controllo sui propri contenuti. La direzione intrapresa dal governo britannico mira a promuovere un clima di fiducia reciproca, in cui ogni attore, dalla startup ai grandi conglomerati tecnologici, fino al singolo autore, comprenda come contribuire alla costruzione di un ecosistema in cui l’innovazione non contrasti con la giusta remunerazione delle opere creative. Le domande poste nella consultazione invitano tutti i soggetti a partecipare con proposte costruttive, perché la partita si gioca sia sulla tenuta del sistema industriale e culturale, sia sull’esigenza di immaginare un futuro in cui AI e creatività umana possano collaborare in modo virtuoso e regolato da norme chiare.

 

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