L'8 ottobre 2024, presso la Sala Capitolare di Palazzo della Minerva a Roma, è stato presentato il 7° Rapporto GIMBE sullo stato del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano. Il documento, elaborato dalla Fondazione GIMBE, offre una fotografia dettagliata delle principali criticità che affliggono la sanità pubblica italiana, analizzando le dinamiche di finanziamento, la spesa sanitaria, le inefficienze del sistema, e proponendo misure concrete per garantire la sostenibilità del SSN. Emerge chiaramente un quadro che necessita di interventi urgenti per preservare il diritto alla salute, così come sancito dalla Costituzione.
Rapporto GIMBE: Il finanziamento pubblico e il contesto pandemico
Il Rapporto GIMBE analizza il finanziamento pubblico del SSN dal 2010 al 2024, evidenziando una serie di cambiamenti significativi in tre periodi distinti: il pre-pandemia (2010-2019), gli anni della pandemia (2020-2022) e il periodo post-pandemico (2023-2024).
Nel decennio 2010-2019, la "stagione dei tagli" ha visto la sanità pubblica privata di oltre 37 miliardi di euro, con una crescita del fabbisogno sanitario nazionale (FSN) insufficiente a coprire l'inflazione. Durante questo periodo, il tasso di crescita medio del finanziamento del SSN è stato solo dello 0,9% annuo, a fronte di un'inflazione media dell'1,2%. Ciò ha comportato un progressivo depauperamento delle risorse disponibili per la sanità pubblica, con un impatto negativo sulla qualità e quantità dei servizi erogati.
Gli anni della pandemia (2020-2022) hanno rappresentato una fase di cambiamento importante per il finanziamento del SSN. In questo periodo, il FSN è aumentato complessivamente di circa 11,6 miliardi di euro, segnando una crescita media annua del 3,4%. Tuttavia, le risorse aggiuntive sono state interamente assorbite dalla gestione dell'emergenza COVID-19, senza apportare un rafforzamento strutturale del sistema sanitario. Tra marzo 2020 e settembre 2022, il governo ha emanato 13 decreti legge che hanno stanziato complessivamente 11,58 miliardi di euro per far fronte all'emergenza, con oltre 5,5 miliardi destinati al FSN e il resto utilizzato per altre spese legate alla pandemia, come l'acquisto di vaccini e dispositivi di protezione individuale.
Nel periodo post-pandemico (2023-2024), il finanziamento pubblico del SSN ha continuato a crescere, ma in modo insufficiente per garantire una vera ripresa e rilancio del sistema sanitario. La Legge di Bilancio 2023 ha previsto un incremento del FSN di 2,15 miliardi di euro per il 2023, di cui 1,4 miliardi destinati alla copertura dei maggiori costi energetici. Nel 2024, l'incremento del FSN è stato di 3 miliardi di euro, ma gran parte di questi fondi è stata utilizzata per i rinnovi contrattuali del personale sanitario, lasciando poche risorse per investimenti strutturali. La Legge di Bilancio 2024 ha inoltre previsto aumenti del FSN di 4 miliardi di euro per il 2025 e di 4,2 miliardi di euro per il 2026, ma questi incrementi sono stati giudicati insufficienti dalla Fondazione GIMBE per sostenere le necessità del sistema sanitario pubblico, soprattutto considerando l'inflazione e l'aumento dei costi dei servizi.
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) del 2024 ha confermato un quadro di sottofinanziamento della sanità pubblica, prevedendo un rapporto spesa sanitaria/PIL in calo dal 6,4% del 2024 al 6,2% nel 2027. Questo andamento, ben al di sotto del valore pre-pandemia, evidenzia l'assenza di una strategia di rilancio del finanziamento pubblico della sanità, con potenziali conseguenze negative sull'accesso ai servizi e sulla qualità delle cure.
Inoltre, è stato evidenziato come la crisi energetica e i costi crescenti di gestione abbiano ulteriormente compresso le risorse destinate ai servizi sanitari, lasciando il sistema in una situazione di cronica insufficienza di fondi per far fronte ai bisogni dei cittadini. L'analisi suggerisce che, senza un deciso intervento governativo per aumentare le risorse disponibili e migliorare l'efficienza dell'utilizzo delle stesse, il SSN potrebbe non riuscire a garantire i livelli minimi di assistenza in molte aree del Paese.
La spesa sanitaria: pubblica e privata
Nel 2023, la spesa sanitaria totale è stata di 176,2 miliardi di euro, di cui il 74% finanziato pubblicamente, il 23% coperto da spese dirette (out-of-pocket) e il restante 3% intermediato da assicurazioni e fondi sanitari. Rispetto al 2022, la spesa sanitaria è aumentata del 2,5%, ma l'incremento è stato interamente sostenuto dalle spese private, con un aumento significativo della spesa out-of-pocket (+10,3%) e di quella intermediata (+11,8%).
Questa dinamica indica un chiaro trasferimento del peso dei costi sui cittadini, soprattutto per quanto riguarda l'acquisto diretto di beni e servizi sanitari. La spesa pubblica, invece, è rimasta sostanzialmente invariata, segnalando una difficoltà persistente nel rafforzare il sistema sanitario pubblico.
La spesa sanitaria pubblica nel 2023 è stata pari a 130,3 miliardi di euro, con la maggior parte delle risorse destinate all'assistenza sanitaria per cura e riabilitazione (57%), seguita dai servizi ausiliari (9%), dalla prevenzione delle malattie (6%), e dall'assistenza a lungo termine (10%). Tuttavia, i fondi destinati alla prevenzione hanno subito un drastico calo (-18,6% rispetto al 2022), indicando un progressivo disinvestimento nelle attività di prevenzione, fondamentali per la salute pubblica a lungo termine. La componente farmaceutica ha rappresentato un'ulteriore parte rilevante della spesa pubblica, con circa 20,4 miliardi di euro (16% del totale), che include sia i farmaci distribuiti tramite il SSN che quelli acquistati dai cittadini con il rimborso parziale.
Per quanto riguarda la spesa privata, l'aumento della spesa out-of-pocket indica che un numero crescente di cittadini ha dovuto affrontare direttamente i costi di servizi sanitari essenziali, spesso a causa di lunghe liste di attesa nel settore pubblico e della difficoltà di accedere a cure tempestive. Le indagini ISTAT del 2023 mostrano che oltre il 16,7% delle famiglie ha limitato le spese sanitarie per difficoltà economiche e il 7,6% delle persone ha rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie, con un impatto negativo soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione. Questo fenomeno è particolarmente accentuato nel Mezzogiorno, dove le condizioni economiche più precarie si combinano con un'offerta di servizi sanitari meno efficiente rispetto al resto del Paese.
La spesa intermediata, che comprende le polizze assicurative e i fondi sanitari, ha rappresentato il 3% della spesa totale. Nonostante il suo incremento (+11,8% rispetto al 2022), questa componente rimane marginale rispetto alla spesa out-of-pocket, evidenziando come il sistema dei fondi sanitari integrativi non riesca a garantire una copertura adeguata delle prestazioni extra-LEA. Questo risulta in una sanità sempre più a due velocità, in cui chi può permettersi di pagare di tasca propria o attraverso assicurazioni ottiene un accesso più rapido e completo alle cure, mentre le fasce più deboli della popolazione restano in difficoltà.
Un altro aspetto da considerare è il confronto internazionale. Nel 2023, la spesa sanitaria pubblica in Italia rappresentava il 6,2% del PIL, un valore inferiore rispetto alla media dell'Unione Europea (6,8%) e alla media OCSE (6,9%). Inoltre, la spesa pro-capite sanitaria pubblica in Italia è stata di 3.574 dollari, molto al di sotto della media OCSE di 4.174 dollari, evidenziando un gap significativo nel finanziamento della sanità rispetto ai principali paesi industrializzati. Questo divario si riflette nella qualità dei servizi offerti, nella disponibilità di personale sanitario e nelle strutture, soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese.
Un ulteriore elemento che caratterizza la spesa privata è la disomogeneità regionale. Le regioni del Nord tendono ad avere una maggiore capacità di spesa out-of-pocket rispetto a quelle del Sud, il che aggrava le disuguaglianze territoriali nell'accesso ai servizi sanitari. Le famiglie che vivono nelle regioni economicamente più deboli spesso sono costrette a rinunciare a cure essenziali, o devono attendere tempi significativamente più lunghi per poter accedere a servizi pubblici. Questo fenomeno contribuisce a creare una sanità a doppia velocità, con una qualità dell'assistenza fortemente influenzata dalla regione di residenza.
Sprechi, inefficienze e autonomia differenziata
Un altro aspetto rilevante del Rapporto è l'analisi degli sprechi e delle inefficienze del SSN. La Fondazione GIMBE ha identificato diverse aree critiche, tra cui il sovra-utilizzo di interventi sanitari dal basso valore, l'inadeguato coordinamento dell'assistenza e gli acquisti a costi eccessivi. Il sovra-utilizzo di interventi sanitari a basso valore clinico include esami diagnostici e trattamenti che non apportano un reale beneficio al paziente, contribuendo non solo a uno spreco di risorse, ma anche a possibili danni per i pazienti a causa di sovra-diagnosi e sovra-trattamenti. D'altra parte, il sottoutilizzo di interventi ad alto valore, come programmi di prevenzione e diagnosi precoce, riduce l'efficacia complessiva del sistema sanitario e peggiora gli esiti di salute della popolazione.
L'inadeguato coordinamento dell'assistenza rappresenta un'altra fonte di inefficienza. La frammentazione tra i diversi livelli di assistenza, inclusi ospedali, cure primarie e servizi territoriali, comporta spesso duplicazioni di esami, ritardi nelle cure e una gestione non ottimale dei pazienti, soprattutto quelli con patologie croniche che necessitano di un approccio integrato e continuativo. Questo tipo di inefficienza si traduce in una qualità delle cure non uniforme e in un incremento dei costi complessivi del sistema.
Gli acquisti a costi eccessivi, spesso dovuti a una mancanza di trasparenza e a pratiche di procurement inefficaci, rappresentano un'ulteriore criticità. I processi di approvvigionamento dei beni e servizi sanitari non sono sempre gestiti in maniera ottimale, con significative differenze di prezzo per gli stessi prodotti tra diverse Regioni e strutture sanitarie. L'assenza di un sistema di acquisti centralizzato e trasparente favorisce sprechi e limita l'accesso a tecnologie e farmaci innovativi.
Queste inefficienze rappresentano un peso considerevole per il sistema sanitario italiano, che potrebbe beneficiare di riforme strutturali volte a recuperare risorse da riallocare in servizi essenziali, quali la prevenzione, l'assistenza territoriale e il potenziamento del personale sanitario. La riduzione degli sprechi, secondo il Rapporto GIMBE, passa attraverso interventi di formazione dei professionisti sanitari, l'implementazione di protocolli di best practice e un uso più efficiente delle risorse a disposizione.
Il Rapporto affronta anche il tema dell'autonomia differenziata, evidenziando i rischi legati a un'ulteriore regionalizzazione delle competenze in materia di tutela della salute. L'autonomia differenziata, se non accompagnata da una chiara definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e da un adeguato finanziamento, rischia di amplificare le disuguaglianze già esistenti tra le diverse Regioni. La disomogeneità tra Nord e Sud è già evidente in termini di adempimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e mobilità sanitaria, con flussi economici che favoriscono le Regioni del Nord a discapito di quelle del Sud, aggravando il divario territoriale.
Inoltre, la mobilità sanitaria, che vede ogni anno un gran numero di cittadini del Sud recarsi nelle Regioni del Nord per ricevere cure, rappresenta un ulteriore indicatore delle disparità regionali. Questo fenomeno non solo contribuisce a impoverire ulteriormente il sistema sanitario delle Regioni meridionali, ma evidenzia anche la necessità di interventi mirati per migliorare la qualità dei servizi nelle aree più svantaggiate del Paese. Per ridurre la mobilità sanitaria è necessario investire in infrastrutture, tecnologie e personale qualificato nelle Regioni del Sud, assicurando così un accesso più equo alle cure.
Il Rapporto GIMBE sottolinea anche che l'autonomia differenziata potrebbe portare a una ulteriore frammentazione del sistema sanitario, con Regioni che sviluppano politiche sanitarie autonome senza una coerenza nazionale. Questo comporterebbe un rischio significativo di disomogeneità nella qualità e disponibilità dei servizi, aggravando le già esistenti disparità territoriali. È essenziale che eventuali forme di autonomia siano gestite in modo tale da garantire l'universalità dei diritti alla salute e il rispetto dei LEA in tutto il territorio nazionale.
Un ulteriore elemento di criticità riguarda la capacità di gestione delle risorse finanziarie nelle Regioni. Le Regioni con capacità amministrative e gestionali più deboli potrebbero non essere in grado di sfruttare appieno le opportunità offerte da una maggiore autonomia, finendo per offrire servizi di qualità inferiore rispetto alle Regioni più forti. Questo rischia di creare una "sanità di serie A" per alcune Regioni e una "sanità di serie B" per altre, contravvenendo al principio di equità che dovrebbe caratterizzare il Servizio Sanitario Nazionale.
La Missione Salute del PNRR e le sfide future
Il Rapporto dedica un ampio spazio alla "Missione Salute" del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che rappresenta un'opportunità unica per rafforzare il SSN. Tuttavia, l'attuazione della Missione presenta diverse criticità, tra cui ritardi nell'attivazione delle infrastrutture sanitarie territoriali, difficoltà di reclutamento del personale e disuguaglianze regionali che ostacolano l'accesso uniforme ai servizi.
Uno degli obiettivi principali della Missione Salute è il potenziamento della rete sanitaria territoriale, con l'intento di ridurre il sovraffollamento degli ospedali e garantire un accesso più rapido e vicino ai cittadini. Questo comprende la creazione di case della comunità e ospedali di comunità, che dovrebbero costituire il fulcro dell'assistenza sanitaria territoriale, fornendo un punto di riferimento per i pazienti con patologie croniche e per coloro che necessitano di cure a lungo termine. Tuttavia, i ritardi nella costruzione e attivazione di queste strutture stanno mettendo a rischio il raggiungimento di questi obiettivi. In molte Regioni, le difficoltà burocratiche e la mancanza di coordinamento hanno rallentato l'implementazione delle nuove strutture, ostacolando la diffusione capillare di un'assistenza più vicina al territorio.
La digitalizzazione del sistema sanitario è un altro pilastro della Missione Salute. Il PNRR prevede l'integrazione di strumenti digitali avanzati, come la cartella clinica elettronica e sistemi di telemedicina, per migliorare l'efficienza e la qualità delle cure. Tuttavia, le sfide in questo ambito sono numerose: la frammentazione dei sistemi informatici a livello regionale e la scarsa interoperabilità dei dati rappresentano barriere significative all'implementazione di un'infrastruttura digitale coerente su scala nazionale. La carenza di competenze digitali tra il personale sanitario costituisce un ulteriore ostacolo, che potrebbe rallentare l'adozione di questi strumenti e limitare i benefici per i cittadini.
Il reclutamento e la formazione del personale sanitario rappresentano un'altra sfida cruciale per il successo della Missione Salute. La pandemia ha evidenziato la cronica carenza di personale medico e infermieristico, una situazione aggravata da pensionamenti non compensati e dalla difficoltà di attrarre giovani professionisti nel settore. Il PNRR prevede investimenti per il reclutamento e la formazione di nuovo personale, ma l'implementazione pratica è complessa, soprattutto nelle Regioni meno attrezzate e con un contesto economico meno favorevole. Inoltre, le condizioni di lavoro spesso precarie e la mancanza di prospettive di carriera rappresentano un deterrente per molti giovani medici e infermieri, ostacolando il potenziamento del capitale umano necessario per garantire un'assistenza sanitaria efficace.
Le disuguaglianze regionali nell'accesso ai fondi del PNRR e nell'implementazione delle misure previste sono un'altra criticità sottolineata dal Rapporto. Le Regioni del Sud, già penalizzate da un sistema sanitario meno efficiente e da risorse economiche limitate, rischiano di non beneficiare pienamente degli investimenti previsti dalla Missione Salute. La mancanza di capacità amministrativa e la complessità dei processi di attuazione rappresentano ostacoli significativi che potrebbero ampliare ulteriormente il divario esistente tra le diverse aree del Paese. È fondamentale, secondo la Fondazione GIMBE, che il governo centrale supporti maggiormente queste Regioni, fornendo assistenza tecnica e risorse per garantire un'attuazione equa del PNRR su tutto il territorio nazionale.
Un altro obiettivo chiave della Missione Salute è l'integrazione tra il settore pubblico e quello privato, con l'obiettivo di migliorare l'efficienza e ampliare l'offerta di servizi sanitari. Il Rapporto GIMBE sottolinea l'importanza di una collaborazione equilibrata che consenta al SSN di beneficiare delle risorse e delle competenze del settore privato, senza però compromettere il carattere universalistico del servizio sanitario pubblico. La regolamentazione di questa integrazione deve essere attentamente pianificata per evitare che il settore privato diventi predominante nelle aree più remunerative della sanità, lasciando al pubblico solo le funzioni più costose e meno sostenibili.
La Missione Salute del PNRR rappresenta un'opportunità senza precedenti per modernizzare e rendere più equo il SSN, ma la sua attuazione richiede un impegno coordinato e continuo da parte di tutte le istituzioni coinvolte. La Fondazione GIMBE suggerisce che, per superare le criticità evidenziate, sia necessaria una governance centralizzata più forte, in grado di monitorare e supportare le Regioni nell'attuazione delle misure previste, garantendo che le risorse siano utilizzate in modo efficiente e che gli obiettivi del PNRR vengano effettivamente raggiunti.
Conclusione
Il 7° Rapporto GIMBE sullo stato del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano evidenzia una crisi profonda e persistente nella sanità pubblica, che non può essere ignorata dalle imprese e dai leader del settore. Le dinamiche di sottofinanziamento e inefficienza, unite alle crescenti disparità regionali, delineano un sistema in cui i problemi strutturali non solo minano la capacità di garantire cure di qualità, ma creano anche un mercato sanitario sempre più frammentato e disomogeneo. Questa situazione ha implicazioni strategiche per tutti gli attori coinvolti, dai governi locali alle imprese private e ai cittadini.
Il primo punto critico riguarda la gestione delle risorse pubbliche. Il Rapporto sottolinea come il finanziamento del SSN, nonostante i temporanei incrementi durante la pandemia, resti largamente insufficiente. Questo mette in luce una questione centrale per le imprese: la sostenibilità dei costi sanitari futuri. Con l'aumento delle spese out-of-pocket e il ricorso crescente ad assicurazioni private, si profila un trasferimento del rischio economico dalla collettività agli individui e alle imprese, costringendo molte aziende a considerare la salute dei dipendenti non solo come un costo accessorio, ma come un fattore critico di business continuity e attrattività del talento. Le aziende dovranno ripensare i propri piani di welfare, integrando coperture sanitarie più robuste per fronteggiare un sistema pubblico sempre più in affanno.
Un altro tema rilevante è l'autonomia differenziata, che rischia di esacerbare le disuguaglianze regionali. Se da un lato questa può offrire alle Regioni più ricche del Nord la possibilità di migliorare ulteriormente i propri servizi sanitari, dall’altro crea un gap crescente tra territori, penalizzando fortemente le aree economicamente più fragili del Paese. Per le imprese con operatività a livello nazionale, ciò implica una maggiore difficoltà a garantire una parità di accesso a cure e benefici sanitari per i propri dipendenti, in particolare per quelli situati nel Mezzogiorno. La regionalizzazione del SSN, se non accompagnata da adeguate misure di riequilibrio, rischia di rendere la salute un privilegio territoriale, minando l’unità del mercato del lavoro e la coesione sociale.
Sul fronte della spesa, il Rapporto GIMBE mette in evidenza una tendenza preoccupante: la spesa sanitaria pubblica è stagnante, mentre quella privata cresce a ritmi sostenuti. Questa dinamica suggerisce che le aziende del settore sanitario potrebbero dover giocare un ruolo sempre più importante nel colmare il vuoto lasciato dal pubblico. Tuttavia, ciò presenta un rischio di polarizzazione: senza una regolamentazione adeguata, il sistema sanitario potrebbe evolversi verso una sanità duale, in cui le aziende private si concentrano sulle prestazioni più redditizie, lasciando al sistema pubblico i servizi meno remunerativi e più onerosi, come la gestione delle malattie croniche e delle emergenze. Questo scenario potrebbe portare a un’erosione ulteriore dell’efficienza pubblica e a una spirale di peggioramento della qualità dei servizi per le fasce meno abbienti.
La Missione Salute del PNRR, sebbene offra un’opportunità straordinaria di modernizzazione, appare minacciata da ritardi e inefficienze nell’attuazione, soprattutto nelle Regioni meno sviluppate. La digitalizzazione e il potenziamento della sanità territoriale sono elementi centrali, ma la reale capacità di implementare questi cambiamenti dipenderà dalla disponibilità di competenze e risorse. Per le imprese che operano nel campo della tecnologia sanitaria, questo rappresenta un'opportunità, ma anche una sfida: l'integrazione di nuove soluzioni digitali richiederà non solo investimenti tecnologici, ma anche una profonda trasformazione culturale e organizzativa nel settore pubblico. Sarà cruciale per queste imprese collaborare con le istituzioni per superare le resistenze interne e accelerare l’adozione di tecnologie innovative.
Infine, un aspetto strategico che emerge dal Rapporto riguarda la gestione del personale sanitario. La carenza di medici e infermieri, accentuata dalla pandemia, rappresenta una sfida strutturale che rischia di minare il sistema per decenni a venire. Per le imprese del settore, ciò significa che la competizione per attrarre e mantenere talenti qualificati diventerà sempre più intensa. Le aziende che operano nella sanità dovranno sviluppare strategie di gestione del capitale umano innovative, puntando su formazione continua, benessere lavorativo e nuove modalità di organizzazione del lavoro per garantire la retention e la crescita dei professionisti sanitari.
In sintesi, il quadro descritto dal Rapporto GIMBE richiede un ripensamento complessivo del modello sanitario italiano, che non può più essere visto come una semplice questione di spesa pubblica, ma come un elemento cardine della sostenibilità economica e sociale del Paese. Le imprese devono prepararsi a un futuro in cui la salute diventerà sempre più un fattore strategico, richiedendo un dialogo continuo con il settore pubblico, investimenti mirati e la capacità di adattarsi a un panorama in rapido cambiamento.
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