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AI Literacy come asset strategico: strategie, dati concreti e prospettive per imprese e professionisti

Immagine del redattore: Andrea ViliottiAndrea Viliotti

“AI Literacy Whitepaper: Understanding and Implementing AI Literacy” è stato elaborato da Kanishka Joshi, Omodot Etukudo e Peng Yu Lin in collaborazione con CFTE (Centre for Finance, Technology and Entrepreneurship) e AIFA (AI in Finance Academy). L’obiettivo generale è indagare le nuove competenze necessarie a valorizzare l’Intelligenza Artificiale in diversi settori. La ricerca mette in luce come l’alfabetizzazione in ambito AI vada oltre la semplice padronanza tecnica e coinvolga aspetti etici, operativi e organizzativi. Per imprese e istituzioni, questo tema rappresenta uno snodo cruciale per garantire evoluzione tecnologica, conformità normativa e vantaggi competitivi.


Per gli imprenditori, emergono prospettive di mercato che rendono l’AI un fattore di crescita e di competitività. I dati evidenziano che oltre il 90% delle professioni in Europa richiede abilità digitali e che l’impiego dell’AI dovrebbe passare dal 45% del 2022 all’85% del 2025. Questi trend suggeriscono un orizzonte ricco di opportunità, in particolare nei settori ad alto contenuto di automazione, dove si stima che il mercato dell’AI in ambito finanziario raggiungerà 22 miliardi di dollari entro il 2026 (Grandview Research, 2024). Investire in programmi di formazione avanzata e in partnership strategiche si rivela quindi determinante per non perdere terreno competitivo.


Per i dirigenti aziendali, la ricerca propone linee guida utili a definire processi di governance e monitoraggio. Viene sottolineato l’obbligo di dichiarare l’uso di strumenti di generative AI in base ai requisiti dell’UE, misura da integrare nelle policy interne. La necessità di team interfunzionali, capaci di bilanciare aspetti etici e operativi dell’AI, risulta fondamentale per mitigare rischi come bias e reputational damage. Una corretta valutazione degli impatti organizzativi, unita alla definizione chiara di ruoli e competenze, rende più agevole l’adozione consapevole di soluzioni AI.


Per i tecnici, la ricerca punta sull’importanza di padroneggiare architetture, algoritmi e logiche di funzionamento dei sistemi. Vengono suggerite metodologie di training continuo, soprattutto nelle aree di machine learning, analisi predittiva e data management, per garantire implementazioni affidabili e ottimizzare i processi. Una comprensione approfondita dei set di dati e delle possibili distorsioni migliora la qualità dei modelli e riduce gli errori di output, consentendo una messa in opera più sicura e aderente alle linee guida normative.

AI Literacy
AI Literacy

AI Literacy come leva competitiva: origini e definizioni nel mondo del lavoro

L’idea di “literacy” ha assunto diverse sfumature nel corso della storia, passando da una mera abilità di lettura e scrittura alla capacità di interpretare e produrre contenuti in contesti sempre più complessi. Nell’epoca digitale, il concetto si è evoluto fino a includere la comprensione del web e la gestione dei dati. Oggi la questione si sposta sulla AI Literacy, che mira non soltanto all’uso di strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale, ma anche alla piena consapevolezza dei meccanismi interni che determinano i risultati generati da tali sistemi.


Molte organizzazioni stanno comprendendo che affidarsi a software di AI non basta; occorre che il personale sappia valutarne i limiti, riconoscere eventuali errori e tenere conto delle implicazioni etiche. Tale necessità evidenzia l’importanza di una solida AI Literacy, in un percorso evolutivo simile a quello dell’alfabetizzazione digitale, quando l’avvento di internet ha reso fondamentali nuove competenze. Allora si trattava di saper navigare in rete, oggi si discute di come interpretare output basati su algoritmi complessi e come vigilare sulla qualità dei dati utilizzati. Questo cambiamento di prospettiva richiede uno sforzo collettivo che coinvolge imprenditori, manager e professionisti tecnici, spingendoli a un confronto costante sul significato e sulle ricadute dell’AI nel tessuto aziendale.


Un’organizzazione che punta su una solida AI Literacy offre ai propri membri una base comune di linguaggio e intendimenti. Così come è accaduto con la diffusione delle competenze digitali, anche l’alfabetizzazione AI si concentra su due piani: quello della conoscenza dei principi di funzionamento (ad esempio la logica con cui un algoritmo di machine learning apprende dal dataset) e quello della capacità di individuare opportunità e rischi correlati. Questa duplice visione si sta trasformando in un asset strategico, dato che la competitività di un’azienda non dipende più unicamente dai propri prodotti, ma anche dalla capacità di innovare processi e modelli di business attraverso un uso consapevole dell’AI.


Da uno scenario in cui l’AI veniva gestita quasi esclusivamente dai reparti di ricerca e sviluppo, si è passati a una diffusione orizzontale di strumenti e piattaforme. Basti pensare all’introduzione di chatbot e sistemi di analisi che impattano sulla relazione con il cliente e sulle decisioni di marketing. La progressiva democratizzazione di soluzioni AI – oggi disponibili anche come servizi cloud – rende l’alfabetizzazione in materia ancora più urgente. Se non vi è una corretta formazione, il rischio è di adottare un approccio superficiale che confonde l’automazione con la comprensione delle logiche sottostanti. Invece, una cultura aziendale che includa la piena padronanza dei concetti di base (algoritmi, dataset, processi di addestramento) può orientare le scelte strategiche, evitando errori e affiancando all’efficienza operativa una solida visione etica.


All’interno di questo panorama, la definizione di AI Literacy proposta nella ricerca – focalizzata su competenze tecniche, capacità critiche, responsabilità etica e aggiornamento continuo – risulta particolarmente significativa. Diversamente dalla semplice abilità di usare strumenti software, comprende l’attitudine a farsi domande sulla provenienza dei dati, a interpretare i risultati e a individuare correlazioni fallaci che potrebbero distorcere le decisioni aziendali. È un nuovo modo di concepire la formazione professionale, che non è più opzionale ma diventa un fattore determinante per prepararsi a una realtà dove l’AI incide su quasi ogni aspetto dell’organizzazione.


Dall’analfabetismo digitale alle competenze per un’AI Literacy diffusa

Nel corso degli anni 2000, l’avvento di internet e la diffusione dei social media hanno costretto le aziende a investire in nuovi percorsi formativi. Chi riusciva a sfruttare efficacemente le piattaforme digitali otteneva un vantaggio distintivo: migliori processi, relazione più diretta con i clienti e minori costi operativi. Quel processo diede luogo a concetti come digital literacy, che comprendeva la capacità di navigare tra fonti online, valutare l’attendibilità delle informazioni e comprendere i rischi di sicurezza informatica. Oggi, con la crescita esponenziale dell’Intelligenza Artificiale, si ripete un fenomeno analogo, ma a velocità amplificata.


La vera differenza è che la tecnologia AI non si limita a fornire dati o contenuti già esistenti, ma è in grado di produrre soluzioni autonome, elaborare enormi quantità di informazioni e anticipare scenari potenziali. Questo passaggio richiede all’utente un diverso atteggiamento mentale: non basta più sapere come si effettua una ricerca online, serve capire quali logiche governano l’algoritmo e quali parametri potrebbero introdurre distorsioni (bias) nelle raccomandazioni automatiche. Spesso, persone con buone competenze digitali hanno difficoltà a interpretare i suggerimenti generati dagli algoritmi, perché non dispongono degli strumenti per comprendere cosa avviene nelle fasi di addestramento. Il salto culturale è netto: dall’analfabetismo digitale che caratterizzava alcune realtà, si deve passare a una forma di consapevolezza avanzata, in cui ciascun dipendente sa non solo usare una piattaforma AI, ma anche interrogarsi sulla sua affidabilità.


Molte aziende si trovano di fronte a ostacoli nella promozione di questa nuova forma di upskilling. Talvolta manca una strategia unitaria, e i reparti formano il personale in modo frammentario, con il risultato che chi si occupa di analisi dei dati riceve un certo tipo di formazione, mentre chi è in area marketing o HR segue percorsi differenti. Questo genera incomprensioni e inefficienze, perché l’AI literacy dev’essere uniforme per favorire un dialogo costruttivo tra le funzioni aziendali. Altri scenari problematici emergono quando l’investimento in formazione viene considerato un semplice dovere amministrativo, invece di una leva strategica. Ne consegue una “spunta di casella” che non fornisce alle persone le competenze profonde per gestire l’AI in modo maturo.


Un aspetto cardine di questa trasformazione è la capacità di adattarsi a un’evoluzione tecnologica molto più rapida rispetto a quanto avveniva con gli strumenti digitali precedenti. Se l’avvento di Internet ha impiegato quasi un ventennio per diventare pervasivo, la crescita dell’AI sta accelerando in modo impattante sulle abitudini di consumo e sul tessuto produttivo. Sistemi di generative AI compiono balzi evolutivi in pochi mesi, introducendo funzionalità in grado di ridisegnare processi operativi e ruoli professionali. In questo scenario, le aziende che non promuovono una formazione continua rischiano di trovarsi in breve tempo con competenze obsolete. Promuovere l’AI literacy non vuol dire soltanto insegnare come usare un singolo strumento, ma trasmettere la consapevolezza che questi strumenti si evolveranno rapidamente e che l’aggiornamento deve diventare parte integrante della cultura aziendale.


I vantaggi di un upskilling ben pianificato sono tangibili: migliori decisioni di business, maggiore efficienza operativa, e un approccio etico e responsabile all’uso dei dati. Non si tratta di imparare a programmare algoritmi di machine learning, ma di comprendere i principi e le buone prassi che rendono l’AI davvero un fattore abilitante. Questo approccio richiede la collaborazione tra direzione aziendale, funzioni HR, reparti tecnici e partner formativi specializzati. Quindi il salto dall’analfabetismo digitale alle competenze AI non è soltanto tecnologico, ma soprattutto culturale: occorre stimolare la curiosità, l’analisi critica e la predisposizione al cambiamento continuo.


Gestione dei rischi e implicazioni etiche: il ruolo dell’AI Literacy

Con la diffusione dell’AI, emergono sfide legate alla disinformazione e alla manipolazione digitale. La ricerca racconta di come una tecnologia avanzata possa generare contenuti falsi, cosiddetti deepfake, in grado di ingannare anche occhi esperti. Per citare un episodio significativo, un filmato apparentemente veritiero mostrava figure istituzionali di un Paese europeo nell’atto di promuovere un investimento fraudolento: molti utenti hanno inizialmente creduto che fosse autentico, a riprova di quanto tali strumenti possano creare confusione e danni reputazionali. La questione etica diventa palese: un uso malevolo di AI può veicolare notizie ingannevoli, influenzare le opinioni pubbliche o alterare i processi decisionali.


In parallelo, c’è il tema dei bias algoritmici, ossia quelle distorsioni insite nei dati che portano a risultati discriminatori o imprecisi. Se un’azienda adotta un sistema di selezione del personale basato su machine learning, ma il dataset di addestramento contiene pregiudizi, è possibile che il software produca valutazioni ingiuste. La letteratura sull’argomento sottolinea che la responsabilità di questi fenomeni non è “della macchina”, bensì di chi crea, configura e usa gli algoritmi. Per questa ragione, l’AI literacy non riguarda soltanto la comprensione del funzionamento tecnico, ma include un livello di consapevolezza etica fondamentale per l’adozione responsabile della tecnologia.


La necessità di bilanciare opportunità e rischi è resa più pressante dall’arrivo di norme come l’EU AI Act, che introduce l’obbligo di trasparenza e responsabilità per chi sviluppa o impiega sistemi AI in settori considerati ad alto impatto. Le sanzioni per violazioni normative possono essere severe, sia in termini economici sia reputazionali. Diventa allora centrale formare il personale a riconoscere e segnalare possibili violazioni, nonché a progettare processi e controlli che verifichino costantemente l’operato degli algoritmi. Non si tratta di creare timore, ma di diffondere un modello di governance che prevenga abusi e usi impropri della tecnologia.


Un altro versante riguarda la gestione dei dati. L’AI, per essere efficace, necessita di enormi set informativi. Tuttavia, maggiori sono i dati raccolti, più elevato diventa il rischio di violazioni della privacy e di impatti indesiderati sulla sfera personale dei cittadini. Per evitare abusi, le aziende devono definire e comunicare in modo trasparente le finalità di trattamento, attenendosi alle linee guida stabilite dai regolatori. L’AI literacy, in tal senso, funge da collante tra i requisiti tecnici e legali: chi si occupa di implementare i sistemi, e chi li utilizza, deve sapere quali dati si stanno elaborando, come li si conserva e con quali possibili conseguenze. Formare un team consapevole di questi passaggi rende più agile la conformità alle regole e tutela i diritti degli utenti o dei clienti finali.


Esiste anche un aspetto di giustizia sociale e inclusione che entra in gioco. Se un algoritmo di concessione del credito esclude sistematicamente determinate categorie di persone perché basato su dati storici distorti, l’azienda rischia di perpetuare discriminazioni. Essere alfabetizzati in AI significa sapere che i modelli possono ereditare o amplificare i pregiudizi dell’essere umano. La capacità di leggere e interpretare i risultati di un sistema AI è dunque cruciale per intervenire prima che si creino danni irreparabili. In sostanza, l’AI literacy affianca la necessità di innovare alla responsabilità morale e sociale delle imprese, perché tecnologia e valori non dovrebbero mai essere disgiunti.


Strategie organizzative: come favorire un’AI Literacy consapevole

Se sul piano teorico l’AI Literacy risulta centrale per evitare errori e ottimizzare le prestazioni, sul piano pratico è indispensabile adottare strategie ad ampio raggio che coinvolgano l’intera struttura aziendale. In quest’ottica, l’implementazione di una AI Literacy solida rappresenta una leva fondamentale nei piani formativi, che devono essere progettati a più livelli per rispondere alle esigenze di imprenditori, dirigenti e figure operative. Nei contesti in cui l’AI viene utilizzata in modo superficiale, spesso si assegna la formazione soltanto ai reparti tecnici, dimenticando che anche il personale amministrativo, commerciale o di front office entra in contatto con gli algoritmi ogni volta che consulta report predittivi o interagisce con piattaforme dotate di intelligenza automatizzata. Una visione integrata crea invece una cultura condivisa e favorisce migliori scambi informativi tra diverse divisioni.


Alcune aziende hanno sperimentato l’inserimento di figure specializzate (ad esempio “AI Literacy Ambassador”) con il compito di affiancare i colleghi, semplificare i concetti e monitorare l’efficacia dei percorsi formativi. Questo approccio rende la transizione più graduale e fornisce un punto di riferimento per i dubbi che sorgono nell’operatività quotidiana. Parallelamente, la dirigenza deve garantire che i processi e le risorse di formazione siano aggiornati, perché gli sviluppi dell’AI procedono con estrema rapidità. Un modello vincente prevede sessioni periodiche di aggiornamento in cui si illustrano le novità tecniche e i cambiamenti normativi, mantenendo vivo l’interesse e rafforzando le competenze.


Dal punto di vista tecnologico, molte imprese stanno integrando piattaforme di AI in aree come la gestione delle risorse umane, l’ottimizzazione della catena di fornitura e il marketing predittivo. Tuttavia, le implementazioni di successo condividono un tratto comune: la fase di sperimentazione (proof of concept) è guidata da team interfunzionali che valutano la qualità dei dati, l’adeguatezza degli algoritmi e i possibili impatti etici. Grazie a un’alfabetizzazione diffusa, si evitano fraintendimenti e si identificano in anticipo eventuali difetti nei modelli. Non è raro che, senza un’adeguata formazione, le aspettative verso la tecnologia risultino eccessive, generando delusione quando gli algoritmi non offrono i risultati sperati. Al contrario, quando tutti i soggetti coinvolti condividono conoscenze di base, la fase di rollout diventa più armonica.


L’uso di generative AI rappresenta un altro terreno importante. L’obbligo di dichiarare contenuti prodotti da sistemi di generazione automatica, menzionato dalla UE, induce a riconsiderare la trasparenza verso clienti e stakeholder. Per esempio, se un testo di marketing viene in parte scritto da un modello di AI, è opportuno specificarlo in modo chiaro, rispettando i criteri di compliance. Questo livello di chiarezza non è soltanto un adempimento formale, ma consolida la fiducia degli utenti. Un’azienda che padroneggia le basi di AI Literacy sarà quindi in grado di spiegare come funziona il modello, su quali dati è stato addestrato e quali sono i limiti. Questo processo riduce il rischio di fraintendimenti e migliora l’efficacia della comunicazione.


La possibilità di utilizzare l’AI in modalità cloud consente oggi anche alle PMI di accedere a soluzioni avanzate senza investimenti infrastrutturali eccessivi. Tuttavia, l’impostazione di tali servizi richiede competenze specifiche per personalizzare gli algoritmi e analizzare i risultati. Ecco perché un programma di formazione solido deve combinare momenti di teoria con prove pratiche. Ad esempio, la realizzazione di piccoli progetti-pilota rappresenta un metodo efficace per mostrare il potenziale dell’AI e le attenzioni necessarie nella fase di configurazione dei modelli. Solo così l’adozione dell’AI diventa uno strumento di reale miglioramento, e non un mero esercizio di immagine.


Formazione continua e prospettive: il futuro dell’AI Literacy

Una volta compreso il valore dell’alfabetizzazione in materia di Intelligenza Artificiale, è cruciale avviare un percorso di formazione continua che possa adattarsi a un settore in costante mutamento. L’esperienza passata con le competenze digitali insegna che i risultati migliori si ottengono quando l’azienda stabilisce routine di aggiornamento ciclico. Tuttavia, mentre la trasformazione digitale si è sviluppata nel corso di due decenni, l’AI evolve con un’accelerazione inusuale. Sono già comparsi sistemi capaci di svolgere compiti avanzati di problem solving e di ragionamento, che soltanto un anno fa parevano impensabili. Diviene essenziale, dunque, una mentalità aperta al cambiamento e pronta a integrare nuove metodologie di apprendimento.


Nella ricerca viene suggerito di strutturare i programmi di training in modo modulare: si parte da una base comune di concetti elementari (funzionamento di un algoritmo, importanza della qualità dei dati, principi di responsabilità e fairness) per poi specializzare i percorsi in funzione delle aree di competenza. Un responsabile marketing potrà approfondire come utilizzare i modelli predittivi per personalizzare le campagne, mentre un analista dati studierà più nel dettaglio le tecniche di machine learning e la gestione dei set informativi. Questo approccio flessibile aiuta a evitare ridondanze e a calibrare la complessità dei contenuti sull’effettivo fabbisogno formativo di ciascuna posizione.


Il confronto internazionale, inoltre, indica che i Paesi più avanzati nell’adozione dell’AI stanno già sperimentando forme di collaborazione pubblico-privato per accelerare l’alfabetizzazione. Alcuni enti governativi sostengono programmi specifici, in cui organizzazioni di varie dimensioni possono accedere a fondi e corsi a costi agevolati. Queste iniziative mirano a evitare che si crei un divario troppo marcato tra chi può permettersi costosi consulenti e chi, invece, rischia di restare indietro. La visione di fondo è quella di una “AI literacy diffusa” che non si limiti alle grandi aziende, ma includa anche settori tradizionalmente meno tecnologici. Ciò è essenziale per preservare la competitività e promuovere un approccio etico condiviso sull’uso dell’Intelligenza Artificiale.


Le prospettive future indicano che il lavoro di definizione e diffusione dell’AI literacy non si esaurirà presto. Con l’introduzione di nuove piattaforme e di algoritmi sempre più sofisticati, sorgeranno sfide inedite, come la gestione di modelli AI in grado di modificarsi autonomamente o di agire in contesti reali. Restare aggiornati significherà non solo cogliere le potenzialità di questi sistemi, ma anche scongiurare gli effetti collaterali di un uso poco consapevole. L’attitudine alla sperimentazione, unita alla responsabilità sociale, giocherà un ruolo cruciale nello sviluppo sostenibile dell’AI. Una formazione continua, pertanto, non va intesa come un dovere pesante, bensì come un investimento nell’evoluzione della professionalità individuale e collettiva.


Conclusioni

Le informazioni emerse nella ricerca delineano uno scenario in cui l’alfabetizzazione AI diventa una condizione imprescindibile per navigare con criterio tra opportunità e rischi della trasformazione digitale. L’adozione rapida di sistemi automatizzati impone alle imprese un cambio di mentalità, che combini l’analisi critica delle tecnologie con una forte attenzione agli aspetti etici. Allo stato attuale, esistono altre soluzioni già in grado di supportare processi decisionali e di interagire con gli utenti su canali digitali, e alcune sfruttano metodologie simili a quelle illustrate. Tuttavia, l’Intelligenza Artificiale si sta spingendo verso livelli di autonomia e capacità di elaborazione inediti, aprendo nuovi fronti di dibattito su trasparenza, responsabilità e sostenibilità.


Per imprenditori e manager, i risvolti strategici sono molteplici: si va dall’adeguamento alle normative emergenti, all’integrazione di competenze trasversali che aiutino a interpretare e migliorare le soluzioni AI. Una riflessione realistica invita a non idealizzare i sistemi automatici come infallibili, ma a considerare la formazione continua come fulcro per intervenire su errori e limiti intrinseci. Il confronto con piattaforme e tecnologie già diffuse, come gli assistenti virtuali e gli algoritmi di raccomandazione, conferma la necessità di un approccio centrato sull’utente e sulla qualità del dato. L’inedita prospettiva offerta dall’AI literacy sta proprio nella sintesi tra conoscenza operativa ed etica applicata: solo mettendo insieme questi tasselli, le aziende potranno sfruttare l’AI in modo vantaggioso e responsabile, riducendo la distanza tra i processi interni e l’impatto finale sui mercati.



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